Si chiama L9LS e ha fornito riscontri positivi in uno studio di fase I pubblicato sul New England Journal of Medicine.
Nello studio di fase I pubblicato sul New England Journal of Medicine un anticorpo monoclonale sperimentale di nuova generazione, chiamato L9LS, si è comportato bene contro la malaria, fornendo riscontri incoraggianti sul piano della sicurezza, dell’efficacia, della durata dell’emivita e della facilità di rilascio. I ricercatori sperano che sia la soluzione definitiva per eradicare la malattia trasmessa dalle zanzare e causata da parassiti del plasmodio.
Nel 2020 la malattia ha colpito 241 milioni di persone e provocato 627mila decessi in tutto il mondo, con un aumento della mortalità pari al 12% rispetto al 2019. L’Africa subsahariana continua a sopportare un carico sproporzionato di malattie malariche e i decessi tra i bambini di età inferiore ai cinque anni rappresentano circa l’80% di tutti quelli causati dalla malattia in quella regione.
Nell’ottobre scorso l’Oms ha raccomandato il primo vaccino contro la malaria, chiamato RTS-S (Mosquirix), dopo che i test clinici hanno mostrato una riduzione del 40% del rischio di contrarre la malattia e del 30% del rischio di ricovero. Ma gli esperti sperano che un anticorpo monoclonale possa ridurre ulteriormente i tassi di infezione.
Lo studio VRC 614 è stato condotto dal Vaccine Research Center del National Institutes of Health (NIH), che ha sviluppato il nuovo anticorpo monoclonale alla fine del 2021. I partecipanti erano adulti statunitensi sani che non avevano mai avuto la malaria né avevano ricevuto un vaccino. I soggetti assegnati a L9LS hanno ricevuto l’anticorpo per via endovenosa o sottocutanea a dosi variabili. Il gruppo trattato e i controlli sono stati successivamente sottoposti a un’infezione da malaria umana controllata tramite punture sull’avambraccio da zanzare portatrici del Plasmodium falciparum al Walter Reed Army Institute of Research. Le persone che hanno sviluppato la parassitemia sono state trattate con la terapia standard a base di atovaquone-proguanile.
Una sola dose dell’anticorpo antimalarico L9LS ha conferito protezione a 15 pazienti su 17 pazienti affetti da infezione da malaria umana controllata. Al contrario, i sei controlli non trattati hanno mostrato tutti parassitemia al test PCR entro 21 giorni dall’esposizione alle zanzare infette. L9LS ha mostrato un’emivita sierica di 56 giorni e la modellazione farmacocinetica ha suggerito che una dose di 5 mg/kg nei bambini può fornire protezione fino a 6-12 mesi, secondo quanto scritto l’autore senior Robert Seder, immunologo del NIH di Bethesda (Maryland) e dai suoi colleghi.
“Questi risultati possono avere importanti implicazioni cliniche e di salute pubblica, perché stabiliscono il potenziale per promuovere la protezione contro la malaria nelle regioni con trasmissione stagionale e perenne» – hanno affermato -. La somministrazione di una singola dose sottocutanea di un anticorpo monoclonale all’inizio della stagione di trasmissione potrebbe fornire protezione, superare i problemi di aderenza e potenzialmente limitare l’emergere di ceppi resistenti ai farmaci associati all’uso a lungo termine della chemioprevenzione stagionale della malaria”.
Sia la somministrazione sottocutanea che quella endovenosa di L9LS non sono state associate a problemi di sicurezza. I sintomi riferiti, come nausea, cefalea e malessere generale, erano in gran parte lievi/moderati. Un caso di linfoadenopatia cervicale lieve si è verificato nove giorni dopo la somministrazione e si è risolto spontaneamente dopo 29 giorni. I ricercatori hanno riconosciuto le piccole dimensioni dello studio e ritengono che siano necessarie ricerche più ampie per valutare L9LS. Due sperimentazioni di fase II sono già previste: una su bambini in Mali e una su bambini in Kenya.
“L9LS segue le orme di un altro anticorpo monoclonale antimalarico in uno studio precedente, che però non si era rivelato molto potente e richiedeva di essere somministrato in grandi volumi per via endovenosa, con una procedura costosa e poco pratica”, ha osservato Eric Rubin, redattore capo del New England Journal of Medicine e specialista in malattie infettive del Brigham and Women’s Hospital e l’Harvard T.H. Chan School of Public Health di Boston. E ha aggiunto: “Il nuovo anticorpo è più potente e richiede una semplice iniezione sottocutanea, che può essere fatta da un infermiere o un da assistente qualificato”.
“La somministrazione passiva di anticorpi monoclonali può fornire in modo costante una concentrazione definita a un titolo protettivo – hanno precisato i ricercatori -. Questo approccio differisce dai vaccini, che possono avere un innesco immunitario variabile e possono essere influenzati da precedenti esposizioni alla malattia, dall’età e dall’immunocompetenza, che possono variare da persona a persona”.
Redazione Nurse Times
Fonte: PharmaStar
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