Gentile redazione,
il 13 luglio scorso, a Lussemburgo presso la Corte di giustizia europea, si è svolta l’udienza pubblica della causa C-494/16 sul precariato pubblico e nello specifico sulla sanzione effettiva, equivalente ed energica da adottare in caso di illegittima precarizzazione dei rapporti di lavoro.
All’udienza pubblica hanno partecipato gli avvocati Michele De Luca (già Presidente della sezione lavoro della Cassazione italiana, e attualmente in pensione), Vincenzo De Michele, Sergio Galleano e Ersilia De Nisco.
Numerose sono state le domande poste dall’Avvocato generale della Corte di giustizia Szpunar alle parti, che dal contenuto delle stesse, ha chiaramente messo in luce la piena presa di coscienza della Corte di giustizia dell’assenza di misure idonee nel nostro ordinamento, in grado di sanzionare in modo adeguato gli abusi della pubblica amministrazione nell’utilizzo dei contratti a termine.
In quella sede la Commissione Ue ha ribadito quanto già evidenziato nelle osservazioni scritte, sottolineando che per tutto il precariato pubblico italiano non sono previste misure effettive idonee a sanzionare l’abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato stipulati dalle pubbliche amministrazioni, alla luce della sentenza n.5072/2016 della Corte di cassazione, e che, prima di procedere alla messa in mora all’esito della chiusura della fase EU PILOT della procedura di infrazione n.4231-2014 attivata sulla mancata applicazione della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato per il pubblico impiego, attenderà l’esito della causa in Corte di giustizia.
La Commissione europea, inoltre, ha confermato la posizione già assunta con le osservazioni scritte presentate il 23 marzo 2017, circa la non conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia della sanzione (inventata) dalla Corte di cassazione a sezioni unite con la sentenza 5072/2016, e cioè quella dell’attribuzione di una indennità compresa fra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione al dipendente pubblico, vittima di un’abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, a cui va ad aggiungersi il risarcimento da perdita di chance (impossibile da provare).
Il giudice relatore della causa Santoro, il bulgaro Arabadjiev (componente dei due Collegi della Corte di giustizia che hanno deciso le cause Affatato e Valenza), ha chiesto in italiano all’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Governo, se aveva qualche replica da fare rispetto all’affermazione, contenuta nelle osservazioni scritte della lavoratrice Santoro, che nella Regione siciliana dal 1958 all’attualità non sono mai stati banditi concorsi pubblici per le assunzioni a tempo indeterminato negli enti pubblici locali; il difensore dello Stato italiano non ha potuto fornire alcuna risposta per mancanza di informazioni al riguardo.
L’Avvocatura dello Stato nelle sue difese orali non ha fatto alcun riferimento all’art.20 del d.lgs. 25 maggio 2017, n.75 e alle misure di “superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni” contenuto nella riforma “Madia”, ma ha insistito sull’efficacia dissuasiva contro gli abusi contrattuali della responsabilità del dirigente.
L’Avvocato generale della Corte di giustizia Szpunar (già Avvocato generale nella causa Mascolo, in cui il 17 luglio 2014 ha depositato le conclusioni scritte che sono state accolte dalla Corte di giustizia nella sentenza del 26 novembre 2014) ha comunicato in udienza che depositerà le conclusioni scritte il 26 ottobre 2017. Anche dal tenore dell’inusuale comunicato stampa del 13 luglio 2017 della Sezione italiana dell’Ufficio stampa della Corte di giustizia, ci si attende una nuova censura nei confronti dello Stato italiano e della Corte di cassazione, per la mancata applicazione della sentenza Mascolo della Corte europea.
La Commissione europea nelle osservazioni scritte presentate in Corte di giustizia, ha individuato nella sanzione, ex art. 18 legge 300/70, delle 20 mensilità (5 mensilità + 15 mensilità) riconosciuta dal Tribunale di Genova prima, e dalla Corte d’Appello poi, la sanzione effettiva, equivalente ed energica in grado di rispettare i criteri imposti dalla normativa e giurisprudenza comunitaria.
Una soluzione del genere, sarebbe pericolosissima per le casse pubbliche, pertanto la soluzione più ragionevole sarebbe quella della rimozione del divieto di conversione nel settore pubblico.
Infatti già la Corte di giustizia con la sentenza Martínez Andrés e Castrejana López del 14 settembre 2016 aveva statuito che La clausola 5, paragrafo 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, siglato il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che osta a che una normativa nazionale, quale quella di cui ai procedimenti principali, sia applicata dai giudici nazionali dello Stato membro interessato in modo che, in caso di utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro è accordato alle persone assunte dall’amministrazione mediante un contratto di lavoro soggetto a normativa del lavoro di natura privatistica, ma non è riconosciuto, in generale, al personale assunto da tale amministrazione in regime di diritto pubblico, a meno che non esista un’altra misura efficace nell’ordinamento giuridico nazionale per sanzionare tali abusi nei confronti dei lavoratori, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.
Quanto all’inadeguatezza e ineffettività della sanzione forfetaria inventata dalle Sezioni unite con riferimento all’abrogato art.32, comma 5, della legge n.183/2010, la Commissione Ue è molto chiara ai punti 35-44 delle osservazioni scritte della causa C-494/16, condividendo le perplessità del giudice del rinvio pregiudiziale e facendo valutazioni negative sull’iter argomentativo della Cassazione, soprattutto alla luce dell’evidente contrasto di quanto affermato dal giudice nomofilattico interno con quanto precisato dalla Corte di giustizia nell’ordinanza Papalia, riprendendo l’Istituzione Ue anche quell’elemento di comparazione con i lavoratori a tempo determinato nel settore privato che, nella parte iniziale delle osservazioni scritte, sembrava essere stato accantonato: «Quanto all’effettività dei rimedi indicati nella sentenza delle Sezioni Unite n. 5072/2016, la Corte ha già stabilito che, se uno Stato membro decide di sanzionare una violazione del diritto dell’Unione mediante il rimedio del risarcimento del danno, tale risarcimento dev’essere anzitutto efficace ed avere idoneo effetto disuasivo nel senso di consentire: a) una riparazione adeguata del danno subito; b) un risarcimento integrale di tale danno e c) una riparazione superiore ad un risarcimento solo simbolico.» (punto 35).
Afferma infatti la Commissione Ue che «nell’ordinanza di rinvio, il giudice a quo ha espresso delle forti perplessità sulla concreta esperibilità di tale ulteriore risarcimento del danno e la Commissione considera che tali rilievi sono pienamente fondati, soprattutto perché non sembra che le Sezioni Unite abbiano fornito gli ulteriori elementi richiesti dalla Corte in Papalia quanto al danno per perdita di “chance”: come rilevato dal giudice del rinvio, le Sezioni Unite non hanno escluso la necessità di un onere della prova per il danno da perdita di “chance”.» (punto 41).
Quanto alla seconda questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Trapani sulla ricerca di una misura sanzionatoria alternativa a quella delle Sezioni unite che assicuri l’equivalenza della tutela dei lavoratori pubblici precari, la Commissione Ue si orienta ai punti 47-59 delle osservazioni scritte della causa C-494/16 tra la conversione a tempo indeterminato in aggiunta all’indennità forfetaria, come per i lavoratori privati, richiamando al punto 51 in nota 35 la sentenza Martínez Andrés e Castrejana López[1] della Corte di giustizia, e l’indennità sostitutiva della reintegrazione di 15 mensilità di retribuzione (sempre in aggiunta all’indennità forfetaria), di cui all’art.18, comma 5, della legge n.300/1970, nel testo antecedente le modifiche della legge n.92/2012: «come dimostra il procedimento oggetto della sentenza delle Sezioni Unite n. 5072/2016, deciso in primo grado dal Tribunale di Genova in seguito alla sentenza della Corte nel caso Marrosu e Sardino ma con decisione poi annullata dalle Sezioni Unite mediante la detta sentenza n. 5072/2016, i lavoratori che non possono ottenere la conversione del proprio rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, come coloro che hanno concluso un contratto di lavoro a termine con la pubblica amministrazione, possono comunque domandare il beneficio della indennità per mancata reintegrazione nel posto di lavoro, rimedio espressamente previsto nell’ordinamento italiano in caso di licenziamento ingiustificato, come rilevato dalla Commissione al punto 19 delle proprie osservazioni scritte, al quale essa si permette di rinviare.» (punto 58).
Attualmente la Corte di giustizia è totalmente “ingolfata” da procedimenti di remissione da parte di Giudici italiani, da ultimo quella della Corte d’appello di Trento che ha chiesto alla Corte di Lussemburgo se la stabilizzazione del personale precario è una misura in grado di riparare il danno subito dai lavoratori dopo anni di precariato, senza che agli stessi sia riconosciuto il risarcimento per i numerosi anni di “sfruttamento” ricevuto.
La Corte d’appello di Trento chiede specificamente alla Corte di giustizia “se la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE debba essere interpretata nel senso che osta all’applicazione dell’art. 1 commi 95, 131 e 132 dell’art. 1 della Ln. 107 del 2015 dello Stato Italiano, che prevedono la stabilizzazione degli insegnanti a termine per il futuro, senza effetto retroattivo e senza risarcimento del danno, quali misure proporzionate, sufficientemente energiche e dissuasive· per garantire la piena efficacia delle norme dell’accordo quadro in relazione alla violazione dello stesso per l’abusiva reiterazione di contratti a termine per il periodo anteriore a quello in cui le misure, di cui alle norme indicate, sono destinate a produrre effetti”.
La lotta al precariato pubblico continua, non solo per il presente, ma anche per il futuro al fine di prevenire il formarsi di un nuovo precariato che con il tempo diventerà “storico” come amano definirsi, giustamente, i nostri colleghi.
Il prossimo appuntamento è al 26 ottobre 2017, quando l’avvocato generale Szpunar depositerà in Corte di giustizia le proprie conclusioni, e ci consentirà di capire i possibili orientamenti della Corte di giustizia, che dovranno poi concretizzarsi con una successiva sentenza attesa per dicembre 2016 o gennaio/febbraio 2018.
Una particolare attenzione va posta anche al giudizio pendente in Corte costituzionale la cui udienza pubblica non è stata ancora fissata in cui la CGIL, la FP CGIL e la UIL FPL si sono costituite in adiuvandum a tutela dei precari pubblici contro il divieto di conversione del contratto nel settore pubblico.
Pierpaolo Volpe, Master in infermieristica forense
[1] Corte di giustizia, sentenza 14 settembre 2016, cause riunite C-184/15 e C-197/15, ECLI:EU:C:2016:680.
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