Un lettore ci scrive per segnalare i disagi vissuti dai tecnici di radiologia in un ospedale pubblico di Milano. Disagi che hanno portato allo sciopero di venerdì 20 giugno.
Sono un tecnico di radiologia. Siamo quelli che ti fanno le radiografie quando hai male. Quelli che ti accompagnano a fare una TC quando stai cercando una risposta. Siamo quelli bardati con camici pesanti in sala angiografica, restando ore in piedi accanto ai medici, nel silenzio teso di una procedura delicata. Ti teniamo per mano ogni giorno durante le lunghe settimane di radioterapia, piangiamo e gioiamo con te. Comunque vada, siamo lì. Sempre. Anche se non si parla mai di noi.
Lavoriamo ogni giorno in un ospedale pubblico di Milano, in silenzio, senza riflettori. E, da troppo tempo, anche senza voce. In questi anni abbiamo vissuto turni massacranti, carichi crescenti, stipendi che non crescono e riconoscimenti che evaporano. Durante la pandemia ci chiamavano “eroi”. Oggi siamo diventati invisibili.
Mentre il costo della vita a Milano cresce vertiginosamente, il nostro stipendio netto da professionisti laureati resta spesso inferiore a 1.400 euro al mese. A questo si aggiunge l’eliminazione progressiva delle ore straordinarie per l’abbattimento liste, che erano l’unico modo per portare a casa qualche soldo in più a fine mese.
Nel frattempo la direzione sanitaria continua ad aumentare i carichi di lavoro. Meno personale, più prestazioni. Come se fossimo numeri, e non persone. Come se la qualità dell’assistenza non contasse. Come se la nostra salute fisica e mentale fosse sacrificabile.
Il nuovo Contratto collettivo, presentato come una conquista, è nei fatti una presa in giro: qualche euro in più sulla carta, nessun reale miglioramento delle condizioni. Una mancia che mortifica il nostro ruolo e ignora le nostre competenze.
Sempre più colleghi lasciano la sanità pubblica per il privato, perché non si può vivere di sola vocazione. E ogni addio è una perdita per tutti: per i pazienti, per la collettività, per il diritto alla salute universale.
Di qui la decisione di scioperare. In massa. Perché siamo stanchi di essere silenziosi e stanchi. Siamo professionisti laureati, formati, aggiornati. Chiediamo un contratto dignitoso per tutti i professionisti sanitari e investimenti reali nella sanità pubblica, non solo slogan.
Non chiediamo privilegi. Chiediamo rispetto. E lo chiediamo non solo per noi, ma per tutti quelli che in questo Paese credono ancora che la sanità pubblica sia un bene comune da difendere.
Redazione Nurse Times
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