Come è stata gestita l’emergenza Covid-19 regione per regione? Quali sono state le difficoltà incontrate? Quali le prossime mosse? Nurse Times intervisterà i presidenti OPI per chiederlo a loro. Segue l’intervista a Marina Bottacin, presidente dell’OPI di Venezia.
Quale è stato il ruolo di OPI Venezia nel gestire l’emergenza?
Fin da subito abbiamo ci siamo messi a disposizione collaborando incessantemente con le istituzioni nazionali e regionali. Sostenendo e divulgando, di volta in volta, le misure adottate, in quanto come si ricorda, soggette a cambiamenti continui, quasi di ora in ora.
Abbiamo cercato di fare rete con le aziende sanitarie e tutte le strutture private e pubbliche. Abbiamo monitorato la situazione anche attraverso i nostri componenti del direttivo che lavorano tutti in prima linea.
In quei giorni, siamo stati sommersi da segnalazioni e richiesta supporto da parte di molti colleghi. Abbiamo cercato di dare a tutti una risposta con una disponibilità soprattutto telefonica, spesso si trattava semplicemente di ascoltarli nello loro ansie e paure. Molte di queste paure legate al non sentirsi protetti. La non disponibilità dei dispositivi di protezione è stata infatti una delle prime difficoltà da gestire, come dapertutto. Si è dovuto procedere ad una razionalizzazione dei presidi favorendo le situazioni ritenute a maggior rischio come unità covid, rianimazioni, emergenza. Anche se il tempo ha poi messo in luce che questa non è stata la scelta migliore, in quanto è stato trascurato il territorio con le conseguenze che poi abbiamo visto
L’Ordine ha rivolto in piu occasioni il suo appello anche ai cittadini perche rispettino alcune norme comportamentali. Stiamo lavorando per questo su un vademecum da produrre. Un vademecum semplice e di veloce lettura, per insegnare ai cittadini come indossare la mascherina e i guanti soprattutto rivolto a quella fascia di cittadini che non consultano internet.
Si è dovuta affrontare l’emergenza “da un giorno all’altro”. Come sta funzionando la formazione degli infermieri per prepararli in maniera rapida a gestire la situazione epidemica?
È stato necessario anche da noi rinforzare le rianimazioni e aprire nuovi posti letto di terapia intensiva recuperando le esperienze professionali dei colleghi che avevano già lavorato in quel settore. Molti colleghi poi sono transitati da aree in cui era stata sospesa l’attività a unità covid o nei reparti di malattie infettive. Direi, questo è stato un altro aspetto molto critico. Nonostante la pronta disponibilità e spirito di abnegazione di tanti colleghi, trovarsi catapultati in una situazione del genere ha creato molta ansia. Anche perché non è stato possibile improntare una formazione, ma si è imparato direttamente sul campo con qualche simulazione. Pensiamo, ad esempio, all’importanza di imparare a indossare correttamente i presidi per evitare contaminazioni…
Un grande aiuto per fornire le conoscenze e apprendere alcune procedure si è dimostrato il corso online attivato dalla Fnopi sul Coronavirus. Formazione che molti infermieri con grande senso di responsabilità hanno prontamente seguito.
Avete pensato a qualche tipo di supporto psicologico rispetto a quelle situazioni di stress emotivo che riguardano i lavoratori in questi giorni difficili?
L’Opi di Venezia ha attivato uno sportello telefonico con possibilità di una consulenza della durata di 30 minuti con una psicologa. Pensiamo che in un momento così difficile gli infermieri abbiamo bisogno di essere supportati per gestire lo stress e conservare l’energia fisica e psicologica di cui hanno bisogno.
Abbiamo promosso, inoltre, una raccolta di testimonianze che abbiamo chiamato “Narrarsi affinchè nulla vada perduto” . Attraverso le narrazioni vorremmo, appunto, “fare memoria” di questa esperienza convinti che ci sia un altro linguaggio oltre a quello scientifico nella nostra professione
Cosa pensa della situazione delle Residenze Sanitarie Assistenziali?
Come coordinamento regionale Opi Veneto abbiamo chiesto alla nostra regione di essere inclusi nei processi decisionali per gestire la fase post emergenza. Fra i punti di confronto anche la nostra preoccupazione per la situazione nelle strutture residenziali.
Nello specifico si chiede un aggiornamento della normativa sull’accesso alla direzione delle aziende di servizi alla persona con valorizzazione della peculiarità della professione infermieristica a tutti i livelli. Questo, in quanto si assiste all’aumento dei bisogni sanitari dei residenti e la professione infermieristica è specificamente preparata a dare una risposta adeguata ad entrambe le esigenze.
Cosa vi ha suggerito sul futuro l’esperienza drammatica di questi giorni?
L’emergenza ha richiesto ulteriori importanti competenze e ne ha messo in luce l’importanza di molte altre dimenticate o non affrontate sufficientemente nei piani di studio dei corsi di laurea ma anche nella formazione continua. Fra queste, le infezioni e le modalità di trasmissione. O, ancora, alcune procedure su come indossare i dispositivi o alcuni comportamenti da tenere per garantire un ambiente sicuro.
La dimensione organizzativa e di leadership della nostra professione, inoltre, ha avuto un ruolo incisivo sulla gestione dell’emergenza. Pertanto, emerge la necessità di avere professionisti competenti anche in questo ambito. Nonché, una consolidata leadership infermieristica per la sicurezza del paziente e il benessere degli operatori.
Quanto accaduto ha messo in luce che il territorio va potenziato a partire dai servizi domiciliari che sono fondamentali per la prevenzione e gestione delle complicanze. Penso, ad esempio, all’infermiere di famiglia e comunità che in molte regioni è ancora sulla carta.
Parlando di territorio, infine, c’è l’esigenza di ripensare anche su questo i piani di studio della formazione di base. Bisogna integrarli con insegnamenti sulla fragilità e disabilità, sensibilizzando lo studente anche ai bisogni delle persone più vulnerabili della società e strutturando dei percorsi di tirocinio adeguati.
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