Proponiamo un’intervista della nostra collaboratrice Anna Arnone al collega Andrea Giorgio.
Le cure domiciliari sono attualmente un punto strategico fondamentale e in crescita esponenziale nell’organizzazione delle aziende sanitarie, determinato dai cambiamenti demografici ed epidemiologici che hanno portato da alcuni decenni a un invecchiamento progressivo della popolazione e a un aumento del numero di anziani complessi affetti da patologie severe e comorbidità.
Se si considera la politica sanitaria più evidente che mai di contenimento dei costi, l’assistenza domiciliare rappresenta motivo di grande investimento, in quanto l’ospedalizzazione ha costi decisamente maggiori rispetto alle cure prestate presso il domicilio del malato stesso. È stata quindi indispensabile una riprogrammazione delle attività sanitarie, che ha necessitato di strategie organizzative, manageriali e cliniche mirate al mantenimento di un alto standard qualitativo.
In quest’ottica di riforma delle cure sanitarie il territorio è diventato certamente un traguardo ambito dai professionisti infermieri, non solo per rispondere ad esigenze logistiche, economiche e di continuità di cure, ma anche per ritagliarsi un ulteriore setting stimolante e di crescita. Approfondiamo la questione in merito con il dott. Andrea Giorgio, infermiere delle cure domiciliari presso l’Asl 3 Genovese.
Dott. Giorgio, iniziamo con una domanda essenziale: chi è l’infermiere esperto delle cure domiciliari?
“È un professionista che a 360 gradi prende in carico il paziente dal momento della dimissione ospedaliera e per tutto il percorso di recupero e reinserimento a domicilio. Nell’arco di questo tempo la collaborazione con i medici di medicina generale, i fisioterapisti, gli assistenti sociali, gli psicologi è il must della quotidianità lavorativa. In altri termini, l’infermiere del setting domiciliare è per eccellenza il professionista multidisciplinare”.
Ci racconti il suo lavoro quotidiano: qual è la sua routine?
“Il lavoro inizia con una fase preliminare di organizzazione, in quanto occorre fare una programmazione settimanale e poi giornaliera, secondo le segnalazioni che arrivano dai MMG, dai servizi sociali e dagli ospedali con diversi gradi di priorità (le dimissioni ospedaliere avranno la precedenza per rispettare l’ottica della continuità delle cure). Pianificato il lavoro, si procede poi a rispettare gli appuntamenti domiciliari. La giornata lavorativa è molto variegata e la flessibilità di gestione è molto più ampia e indipendente”.
Quali sono le principali tipologie di pazienti presi in carico?
“L’utenza è prevalentemente geriatrica, ultrasessantenne. Il presupposto principale per attivare un servizio di cure domiciliari è che il paziente abbia un’instabilità clinica, sia fragile, abbia comorbidità, ma per le quali non si necessita di un ricovero ospedaliero. Pertanto la cura resta allo stesso domicilio. Inoltre ci possono essere anche casi sociali che richiedono l’attivazione di servizi socio-sanitari in quanto condizioni altamente complesse e croniche”.
Ritiene che la gestione domiciliare sia diversa dal setting ospedaliero?
“Certamente. La gestione domiciliare non solo è molto diversa da quella ospedaliera, ma può divenire anche difficoltosa perché il professionista, pur rispettando procedure e protocolli che lo guidano nel percorso, si trova a prendere decisioni non sempre supportate dall’aiuto di colleghi, come invece avviene in ambito ospedaliero. Inoltre i contatti con gli altri professionisti sono essenzialmente autonomi perché è l’infermiere, in un’ottica multiprofessionale, a decidere di attivare quando e come i consulenti. In sostanza, cambiano gli obiettivi di cura: nell’ambito ospedaliero sono di diagnosi e cura; nel setting domiciliare il miglioramento della qualità della vita, la riduzione delle instabilità e del declino funzionale, l’utilizzo delle abilità residue sono gli outcome da raggiungere”.
Quali difficoltà ha riscontrato in questa nuova realtà?
“Le difficoltà si possono cogliere nelle varie fasi della presa in carico del paziente, che necessitano obbligatoriamente di passaggi che devono avvenire tramite determinate figure. L’infermiere si trova a essere il massimo esperto nelle diverse fasi del processo, ma non ad avere potere decisionale su alcuni interventi. Possiamo parlare di prescrizione di ausili, farmaci topici: quindi c’è una difficoltà burocratica nel dover integrare tutte le prestazioni in tempi contenuti. Credo che in futuro l’infermiere debba avere la possibilità di essere prescrittore, di prendere decisioni con maggiore autonomia. Bisognerebbe “sburocratizzare” e semplificare tutto il percorso”.
Come sta vivendo la sua esperienza professionale?
“È molto gratificante perché permette di essere davvero al centro del percorso di cura. Consiglio questa sfida e questo percorso anche a chi inizia a conoscere il nostro mondo, perché può davvero offrire una grande occasione di crescita professionale”.
Anna Arnone
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