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L’immagine più definita di sempre del cervello umano grazie ad una risonanza magnetica durata 100 ore

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L’immagine più definita di sempre del cervello umano grazie ad una risonanza magnetica durata 100 ore
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L’immagine tridimensionale più definita di un cervello umano stata ottenuta per la prima volta nella storia della medicina grazie all’utilizzo di uno scanner 7T.

Utilizzando il dispositivo approvato nel 2017 dalla Food and Drug Administration statunitense, è stata effettuata una risonanza magnetica durata ben oltre 100 ore fornendo un’immagine estremamente precisa del cervello postmortem di una paziente

“Non abbiamo mai visto un intero cervello in questo modo, è senza precedenti”, ha spiegato la professoressa associata di radiologia e neuroscienza Priti Balchandani della Icahn School of Medicine del Monte Sinai sita a  New York.Attraverso la scansione è possibile osservare strutture cerebrali come l’amigdala in modo ben definito.

L’immagine ottenuta potrebbe consentire alla scienza grossi passi in avanti nello studio di anomalie celebrali permette di di capire come piccoli cambiamenti nell’anatomia del cervello possano riguardare disturbi come quello post-traumatico da stress oppure comprendere cosa caratterizzi anatomicamente il coma o stati psicologici come la depressione.

Il cervello sottoposto allo studio è stato quello di una donna di 58 anni morta a causa di una polmonite virale. Gli  esami sono stati condotti dai ricercatori del Massachusetts General Hospital di Boston. Il suo cervello, donato alla scienza, è stato utilizzato a scopo di ricerca per quasi tre anni.

Per assicurare la stabilità del cervello durante la scansione e permettere all’aria circostante di uscire, è stato costruito uno speciale contenitore di carbammato di etile. Successivamente il cervello è stato inserito all’interno della macchina per la risonanza magnetica e, per quasi 5 giorni è rimasto al suo interno per completare l’imaging.

Allo stato attuale non è possibile ottenere la stessa qualità delle immagini in un paziente in vita per svariati motivi. Il principale è derivante dall’eccessiva durata della procedura completa. Inoltre potrebbero insorgere anche complicazioni tecniche: anche i minimi movimenti, come quelli compiuti dal nostro corpo per la respirazione e per la circolazione sanguigna, rischierebbero di offuscare le immagini.

L’utilizzo della tecnologia su campioni post mortem “ci dà un’idea di cosa sia possibile”, ha dichiarato Balchandani. La Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha approvato il primo scanner 7T per l’imaging clinico nel 2017. Tali dispositivi stanno venendo utilizzati sempre più frequentemente dai centri medici per diagnosticare e studiare numerose malattie.

Simone Gussoni

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