Intervistato da AdnKronos, l’attore ricorda gli 11 anni vissuti in corsia, elogia il lavoro degli operatori impegnati contro la pandemia e rilancia l’appuntamento con lo spettacolo Chiedimi se sono di turno, in scena al Teatro Oscar di Milano.
“E’ un lavoro bellissimo e straordinario. Lo dico ai ragazzi che magari sono indecisi sul proprio futuro: fare l’infermiere è una scelta importante, ma super gratificante, che ti mette in contatto con il senso della vita. E abbiamo visto anche durante la pandemia come il sacrifico di tanti infermieri abbia salvato molte vite”. Così, ad AdnKronos Salute, Giacomo Poretti, componente del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, che per 11 anni, prima di fare l’attore, è stato infermiere nell’ospedale di Legnano.
Poretti ricorda gli anni in corsia in occasione della Giornata internazionale dell’infermiere, che si celebra oggi, 12 maggio: “La mia vita da infermiere è terminata nel 1985, ma ancora oggi mi sento con due-tre colleghi di allora e non facciamo altro che parlare di quei bellissimi anni: eravamo ragazzi e parecchio imbranati”. L’esperienza da infermiere è stata rielaborata dall’attore in un monologo per lo spettacolo Chiedimi se sono di turno, in scena al Teatro Oscar di Milano per lanciare la riapertura dopo la lunga chiusura per l’emergenza.
Poretti ricorda come gli operatori sanitari siano stati tra i simboli della lotta al coronavirus: “Io e mia moglie abbiamo preso il Covid a marzo 2020 ed è stata dura: abbiamo avuto la febbre alta e molta paura che potessimo peggiorare. Poi ne siamo usciti, ma in quei giorni ho ripensato agli anni da infermiere e anche al lavoro che stavano facendo i colleghi in prima linea contro la pandemia. Sono stati eroici. Conosco il loro attaccamento al lavoro e la complessità di molti momenti che si vivono. Nessuno si è tirato indietro”.
Ma come è nato Giacomo infermiere? “Subito dopo il militare mi sono iscritto alla scuola per infermieri – risponde Poretti –, e da lì ho iniziato. Sono stato in quasi tutti i reparti, anche in Oncologia. Oggi il lavoro dell’infermiere è molto diverso da quello che ho vissuto io tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta. C’è una formazione sicuramente più professionale, ma rimane il tramite tra il malato e il medico. L’infermiere si occupa ‘fisicamente’ della malattia e il paziente è accudito in tutto: dalla pulizia, alla vestizione, al nutrimento. E poi c’è una parte ‘medica’, legata alla somministrazione della terapia e agli esami da fare”.
E ancora: “Anche allora c’era una carenza cronica di infermieri, ma mi pare che in questo non sia cambiato nulla: mancano ancora cronicamente. Io ho iniziato come infermiere facente funzioni, una sorta di apprendista, e ne ho combinate parecchie. Una volta dovevo fare un’iniezione intramuscolo a un paziente, avevo paura e non volevo farla. Poi la caposala ha insistito e l’ho fatta, ma è stata una tragedia. Ricordo l’ago che è rimbalzato più volte sulla natica. Povero paziente”.
Lo spettacolo Chiedimi se sono di turno, scritto e diretto da Poretti, ha riaperto il Teatro Oscar ed è di auspicio per una ripartenza del teatro anche in tutta Italia: “Dobbiamo aprire con posti ridotti e alcune misure di sicurezza per gli spettatori. Per ora facciamo uno spettacolo a settimana, ma c’è tanta voglia di ripresa del settore a ottobre. Dobbiamo essere ottimisti e avere fiducia”.
Sul sogno che Chiedimi se sono di turno e quegli 11 anni da infermiere, possano finire sul grande schermo, invece, Poretti non si espone: “Non ci avevo pensato fino a oggi. Non è facilissimo, ma, se arrivasse una proposta, non lo escludo. Sarebbe bello”.
Redazione Nurse Times
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