Pubblichiamo la lettera aperta della predisente dell’Opi di Ascoli Piceno Laure Morganti
Al Direttore di Area Vasta 5
Dott. Cesare Milani
Al Direttore Generale ASUR Marche
Dott.ssa Nadia Storti
E pc- al Segretario Regionale Cittadinanza Attiva
Dott. Avv. Monia Mancini
Dottori Infermieri Ordine Professioni Infermieristiche di Ascoli Piceno
Presidenti OPI Marche
FNOPI
Egregi Direttori,
come noto, nei periodi di emergenza sanitaria, come quello relativo al COVID 19, il personale sanitario TUTTO e nello specifico il personale infermieristico, che in qualità di Presidente P.T. dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche rappresento, ha dato il massimo in termine di abnegazione, professionalità, etica, senso di appartenenza, impegno e sacrificio – sia in ambito professionale che personale e spesso a discapito anche del proprio contesto famigliare – con il minimo delle risorse materiali, organizzative, strutturali, strumentali, ed economiche, superando il sentire comune di essere “carne da macello”.
Il riferimento è al servizio giornalistico del TG1 andato in onda il giorno 18/10/2020 alle ore 20.30 in cui è stato intervistato il direttore dell’ASUR 5, dott. Cesare Milani.
Anche in tale frangente sono state compensate le carenze summenzionate, pregresse e sopraggiunte, del sistema, già in forte sofferenza prima della pandemia, perché gli infermieri ci sono, ci sono stati e ci saranno sempre!
Dalle pacche sulle spalle ai cosiddetti “Eroi” (senza ovviamente nessun altro tipo di riconoscimento) ad “untori” da dare in pasto ai media, il passo è stato brevissimo, onde depistare inefficienze, ritardi e/o inappropriate scelte di politica sanitaria e gestione della pandemia definite ai tempi d’oro del “Piceno Covid Free” come “bravura” e oggi palesemente svelate dall’increscioso episodio, assurto alle cronache nazionali e interpretato in modo paradossale dalla nostra Direzione.
Utile ricordare a questo punto che Codesto ordine, in più occasioni, aveva già provveduto, con esposti in Procura e diffide all’azienda, a segnalare non conformità che avrebbero potuto cagionare rischio per utenti e colleghi, come nel più classico “Cronaca di una morte annunciata”.
Si riserva, pertanto, di costituirsi parte civile qualora dovessero esserci contenziosi giudiziari. Per quanto riguarda la collega asintomatica, appare ovvio che la stessa fosse in servizio, poiché fino all’esito dello screening (referto oltretutto pervenuto con tempi tutt’altro che rapidi) non aveva strumenti per ricorrere alla quarantena cautelativa, e comunque appena venuta a conoscenza dell’esito ha prontamente attivato le procedure in sua facoltà.
Appare dunque evidente che vi sono state più falle nel sistema, con grave sottostima e inadeguatezza delle misure di Risk Management attribuibili all’azienda anche in vigilando.
Ricordo che ingenerare terrore e disistima nei confronti di una categoria professionale come quella degli Infermieri, nella cittadinanza che ha ben chiaro come, in realtà, questi siano i primi a manifestare vicinanza, ascolto e partecipino fattivamente alla risposta, è una scelta che rivela una visione poco ampia oltre che essere ascrivibile alla fattispecie del danno d’immagine per la categoria, lesa nella sua dignità, ma anche per l’azienda in questione, in una fase che a tutt’ora è di accertamento dei fatti.
In ultimo, ma non per importanza, ricordo che la rapidità del processo di identificazione e isolamento delle persone infette è cruciale per un tracing ed una riduzione del contagio efficace, efficiente ed appropriato. Parrebbe superfluo precisare che il contagio dell’infermiera potrebbe essere avvenuto, altresì, proprio sul luogo di lavoro, considerando che revisioni di studi scientifici stanno dimostrando come il tampone restituisca un “falso negativo” in circa il 33% dei casi.
In assenza di dati scientifici consolidati, o di studi su una platea più vasta, si va delineando oltreoceano e in risonanza anche nel nostro Paese, la convinzione che i test attualmente in uso per scoprire l’infezione da coronavirus abbiano una percentuale di affidabilità intorno al 70%, nettamente inferiore a quella che di solito ci si attende da queste procedure.
Risulta pertanto comprensibile lo stupore e il disappunto di codesto Ordine nell’apprendere che la via percorsa nell’audit derivante, nonché nell’intervista rilasciata e rilanciata sui media nazionali, si sia orientata nel mettere alla berlina un’intera categoria di professionisti.
Quegli stessi professionisti, ricordiamolo, già provati e in prima linea dall’inizio, con perdite sul campo di vite (ben 49 colleghi!) e con sequele nei sopravvissuti.
Sono certa di una vostra pronta rettifica, che espliciti il vostro riconoscimento e soprattutto la vostra vicinanza nei confronti sia dei cittadini colpiti, ma anche degli infermieri contagiati nell’esercizio delle loro funzioni, ad oggi apparentemente abbandonati dalle istituzioni che avrebbero dovuto tutelarli. Resta inteso che, laddove ci fossero responsabilità individuali comprovate, l’Ordine procederà nelle more della normativa e dei regolamenti vigenti.
Cordiali saluti.
La presidente
Dott.ssa Inf. Laure Morganti
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