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L’accesso intraosseo: la via salvavita

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L'accesso intraosseo nella criticità vitale
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L’accesso intraosseo è una metodica che prevede l’inserimento di un catetere mandrinato direttamente nel midollo osseo e proposta come accesso vascolare in situazioni di emergenza ed urgenza in cui non è possibile stabilire un accesso venoso tradizionale

La tecnica dell’accesso intraosseo non è di recente introduzione: i primi studi, infatti, risalgono già al 1922 in cui il dottor Drinker definì lo spazio intraosseo come vena non comprimibile e questo confermò che i fluidi somministrati attraverso questa via venivano rapidamente assorbiti nella circolazione centrale, fornendo una valida alternativa all’accesso vascolare tradizionale.

Successivamente poi ne è stata studiata l’utilità e l’efficacia: nel 1986 le linee guida dell’American Heart Association approvarono l’utilizzo dell’intraossea nella rianimazione cardiopolmonare pediatrica; nel 2010 le linee guida sulla rianimazione cardiopolmonare dell’European Resuscitation Council indicano che la somministrazione di farmaci attraverso il tubo tracheale non è più raccomandata e qualora non si possa ottenere un accesso venoso i farmaci dovrebbero essere quindi somministrati attraverso la via intraossea.

Ci sono diversi dispositivi per l’accesso intraosseo:

  • Ad inserimento manuale come l’Ago di Cook che viene inserito attraverso una pressione esercitata manualmente dall’operatore, ideale per il paziente pediatrico data la minor consistenza del tessuto osseo;
  • ad inserimento automatico come il B.I.G., che viene inserito attraverso un meccanismo di molla precaricata, ed il Fast1 dotato di ago ad inserimento semi-automatico che permette la puntura a livello sternale;
  • ad inserimento meccanico come l’EZ-IO che prevede l’inserimento dell’ago attraverso un trapano elettrico senza dover esercitare alcuna pressione contro il tessuto osseo.

L’accesso intraosseo è considerata una manovra facile e sicura che deve considerato nei casi di emergenza-urgenza in cui l’accesso periferico non è possibile stabilirlo entro due tentativi consecutivi o entro i primi due minuti quando si presenta la necessità di infondere farmaci o liquidi.

La tecnica intraossea è dunque una strategia rapida ed efficace su cui investire nei casi di arresto cardiaco, grave ipovolemia con alterazione dello stato mentale, stato epilettico che permane al di sopra di 10 minuti, in caso di ingestione di agenti tossici che richiedono un’immediata somministrazione di un antidoto, di ustioni che superano il 30% nell’adulto e il 20% nel bambino.

Ci sono delle controindicazioni nell’utilizzo di tale accesso, come per esempio un inserimento precedente nelle 24/48 ore nello stesso segmento osseo, frattura nel sito in cui si vuole inserire il dispositivo per il pericolo di stravaso, severa osteoporosi, infezione del sito d’inserzione, osteogenesi imperfetta.

I siti di inserzione possono essere:

  • la tibia prossimale, in cui dopo aver localizzato la tuberosità tibiale bisogna scorrere 1-2 cm medialmente e 1 cm prossimalmente nell’adulto e distalmente nel bambino;
  • la tibia distale, adatta ai bambini con età superiore ai 6 anni e agli adulti;
  • il femore distale, utilizzabile in età pediatrica;
  • l’omero prossimale, sul grande tubercolo della testa anteriore dell’omero;
  • lo sterno.

I vantaggi della via intraossea sono numerosi quali il tempo di posizionamento con un tasso di successo al primo tentativo pari al 90%, non richiede l’interruzione delle compressioni toraciche in caso di arresto cardiaco e la possibilità di infondere quasi tutti i tipi di farmaci iniettabili per endovena.

Gli svantaggi, però, non sono pochi in quanto non permette di effettuare monitoraggio emodinamico applicabile attraverso il catetere venoso centrale, c’è la necessità di rimuovere il dispositivo nelle 24 ore successive all’inserimento per ridurre il rischio di infezioni, vi è la possibile sensazione dolorifica e l’insorgenza di alcune complicanze come ad esempio l’embolia gassosa, lo stravaso dovuto allo scorretto posizionamento del sistema, alterata lunghezza dell’ago oppure inadeguata stabilizzazione del dispositivo; queste ultime complicanze, però, con i moderni dispositivi si sono ridotte al minimo.

L’accesso osseo è, dunque, una manovra salvavita e in merito sono stati condotti diversi studi per indagare la gran parte degli effetti del suo utilizzo come il problema del dolore, il tempo di reperimento, la velocità di infusione e le complicanze, ma non ci sono studi sufficienti che documentino la reale diffusione di tale dispositivo.

La limitata diffusione di eventi formativi dell’accesso intraosseo, l’esigua sicurezza da parte del personale infermieristico, la contenuta conoscenza sull’intraossea fa pensare che la realizzazione di corsi formativi teorici e pratici annuali potrebbero contribuire alla diffusione e all’utilizzo di questo dispositivo, incrementando la conoscenza su tale accesso e la sicurezza tecnica di inserimento e gestione.

 

Anna Arnone

 

Sitografia

www.siaarti.it

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