Infermiere dell’EmergenzaSpecializzazioni

“…L’abbiamo ripreso!”

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Una situazione d’emergenza affrontata con successo, seguita da una tenebrosa ventata di pessimismo… e sfociata in una fragorosa e terapeutica risata collettiva. È accaduto nei primi minuti di un turno di mattina come tanti, in reparto di medicina. Il fatto è liberamente ispirato alla mia esperienza professionale presso una clinica privata convenzionata di Roma.

È lunedì mattina, sono le 06:48. Mi trascino mesto il lungo corridoio che mi conduce nel mio reparto di medicina e già ad una ventina di metri dalla porta d’ingresso inizio a sentire l’odore dei disinfettanti, il rumore dei campanelli impazziti, le urla delle vecchiette più intransigenti e confuse che sconquassano la pazienza del caro, vecchio OSS che corre come sempre da tutte la parti come un indemoniato.

Vengo da 10 sani e rilassanti giorni di ferie, se così si possono chiamare quelle giornate non retribuite che un libero professionista è costretto a prendersi una volta l’anno per non impazzire, e l’impatto con questa cruda realtà è un autentico trauma. Mi aspettano 14 ore di lavoro e già so che sarà una giornata decisamente lunga… in tutti i sensi.

Rallento a pochi metri dalla soglia, mi fermo e frugo tra i miei pensieri alla ricerca di un valido motivo per attraversarla. Poi ricordo: quei pochi euro lordi orarie che saranno inevitabilmente spennate dalle tasse! Va beh!

Mi faccio coraggio, entro. E una volta in corsia, senza più titubanza o dubbi, torno me stesso: un infermiere, al di là di tutto il resto.

Passo davanti alle stanze di degenza per raggiungere la medicheria e noto che ci sono un sacco di pazienti che non conosco (10 giorni di assenza sono tanti, in una medicina), oltre all’OSS che intavola una vera e propria trattativa con una paziente per individuare la modalità più consona per inserirle la padella sotto al fondoschiena. A un certo punto un urlo mi fa voltare di scatto verso le stanze 15 e 16. Uno strano strillo, che poco ha a che fare col dolore o con una richiesta di aiuto: ”Yuuuhuuuuu!”. Mi affaccio nelle due stanze per controllare che sia tutto ok e noto con piacere che i tre pazienti della 15 ed i 4 della 16 sono tutti cogli occhi chiusi e stanno verosimilmente ancora dormendo. L’avrò sognato, quel rumore? Mah… proseguo nella mia ‘via crucis’ verso la stanza dove i colleghi mi attendono per il passaggio delle consegne, accompagnato da un altro sonoro ed indubitabile “Yuuuhuuuu!”.

Buongiorno, ragazzi. C’è qualcuno che grida ‘Yuhù’ nelle stanze. Sapete dirmi chi è e soprattutto perché lo fa?”, domando ai miei colleghi mentre mi perdo nella profondità delle occhiaie di chi ha appena terminato il suo turno di notte. Mi risponde il caro OSS, che entra più veloce della luce con la bilancia in mano con cui ha già pesato i degenti: “è Giuseppe, il vecchietto che sta al 16.1. Ogni volta che sente passare qualcuno in corridoio fa gridi tipo ‘uuuaahaaa’ o ‘yuhuuu’ e poi fa finta di dormire. Lo fa per scherzare, credo. Almeno spero. Anche perché poi se la ride. Mi ha fatto diventare matto, c’ho messo tre giorni a capire da dove provenivano quegli strilli”.

Ed io: “Beh, se non altro l’umore dei pazienti è ottimo”.

Interviene Claudia, collega con cui dovrò affrontare la mattinata: “L’umore? Beh… fatti una chiacchierata con Giacomo, il vecchietto che sta al 16.2 e Rolando, quello del 16.3. Poi vediamo se è così ottimo…

Deduco quindi che la stanza 16 mi darà delle grosse soddisfazioni, oggi. Giusto?” Tutti annuiscono.

Terminato il passaggio di consegne, preparo in fretta l’infinita terapia infusionale della mia sezione e parto col carrello stracolmo di ‘boccioni’, deflussori e compresse per il ‘giro’. Man mano che mi avvicino alla 16 gli ‘Yuuhuuu’ e gli ‘Uuuahaaa’ si intensificano inesorabilmente. Intanto monto le flebo alle varie vecchine, cerco di rassicurarle, gli porgo la loro terapia orale e mi assicuro che la assumano. Ogni tanto avviene qualche leggero intoppo: c’è ad esempio chi si strappa il catetere venoso, chi quello vescicale o chi lancia oggetti, tra cui il proprio pannolone, al compagno di stanza; tipici fotogrammi di ogni medicina generale che si rispetti, per carità, ma che.. rallentano di molto il lavoro e si sommano alle tante, troppe cose da fare. Alla fine, quasi emozionato all’idea di conoscere l’autore delle urla spiritose, varco la soglia della stanza 16 preannunciato da un altro delirante ‘Yuuuhuuhuuu’.

Gli occhi mi vanno subito sul letto 16.1, occupato dal signor Giuseppe, 84 anni e presunto colpevole dei pittoreschi vagiti, che finge spudoratamente di dormire con tanto di russata simulata. Il ghigno stampato sul suo viso grassoccio, però, lo tradisce: è chiaramente lui a dilettarsi cogli ululati. Gli monto la terapia ‘senza svegliarlo’ e assecondando così questo suo poco sensato, ma divertente melodramma.

Passo al 16.2. “Buongiorno, signor Giacomo. Piacere di conoscerla, io sono Alessio. Come va, oggi”?

Vede, è totalmente inutile che voi altri vi ostiniate ogni giorno a farmi la stessa domanda. Tanto tutti sappiamo benissimo che la morte è oramai prossima”.

Rimango di ghiaccio di fronte a questa previsione oltre modo nefasta. In realtà l’anziano, di 86 anni suonati, ha solo una polmonite che, da quello che ho capito parlando coi colleghi, è in evidente remissione. Per il resto non ha praticamente niente, a parte i fisiologici acciacchi dell’età e a quanto pare…  un inguaribile ottimismo. Ora capisco il preambolo di Claudia in medicheria (…). Gli connetto la flebo senza più proferire parola, mentre lui sbuffa con un’espressione risolutamente funebre.

Passo al signore del 16.3. “Salve, Rolando. Le ho portato la sua dose mattutina di antibiotico. Lei come si sente? Sta meglio?

E lui: “Uuuuh… Aaahiahiahi…”, mentre scuote una mano tesa come per sottolineare una qualche indicibile sofferenza e con l’altra mi indica un punto indefinito sulla schiena.

Ha dolore? Proviamo a cambiare un po’ posizione?”. E lui, facendomi segno di no col dito, sgranando gli occhi e continuando con vocali del tipo: “Uuuuh… aaaah… ahiahi”. Non capendo bene l’origine del suo malessere, bracco il l’onnipresente OSS che passa velocissimo e borbottante con al seguito una carrozzella: “Francesco, sai mica dirmi dove gli fa male?”. E lui, sottovoce: “No, lamenta dolore ogni 5 minuti in posti diversi, il medico lo ha visitato e dice che secondo lui non gli fa male niente. È qui da 5 giorni per una polmonite, ma fa dalla mattina alla sera ‘uuuh, aaaah e ahiahiai’. È il suo modo di comunicare, credo. Il figlio mi ha detto che fa così anche a casa, stai tranquillo. Scusami, ma devo scappare, che una giovanotta 92enne della stanza 19 ha detto che se non la metto in carrozzina subito scavalca le spondine del letto e si butta di sotto”. E riparte a tutto gas con la sedia a rotelle, mentre io predispongo e avvio la terapia di Rolando.

Passo al 16.4. Nel letto c’è Mario, il più giovane e grave della stanza. Mi accoglie con un debole “Buongiorno” e, non appena finito di montargli la terapia e di controllare i suoi parametri vitali, mi saluta con un sorridente “Grazie”. Ha 62 anni, Mario. Durante il passaggio di consegne si è parlato molto di lui. Mi è stato descritto come molto gentile, garbato e nonostante le sue condizioni siano oltre modo critiche, sembra sereno. È edematoso ovunque, ha uno scompenso cardiaco molto grave ed è aritmico.

Saluto i fantastici 4 della stanza 16 e mi immetto di nuovo nel corridoio, spingendo il carrello verso la stanza 18 (la 17 non c’è per scaramanzia); sto per entrare quando all’improvviso i miei padiglioni auricolari vengono raggiunti dagli allarmi acustici del monitor a cui è collegato Mario. Mollo lì il carrello e mi dirigo a passo svelto nella stanza per controllare. Mario non risponde ai miei richiami verbali, non respira, il polso non c’è e il tracciato che vedo sul monitor è inquietante e significa arresto cardiacircolatorio.

Ragazzi! Emergenza! Stanza 16!”. Inizio subito il massaggio cardiaco e dopo una decina di secondi intravedo il medico che arriva ansimante e ciabattando, seguito dai colleghi col carrello delle emergenze e dal caro OSS con appoggiati in testa i divisori per la privacy. Passo alla testa del povero Mario ed inizio a ventilarlo tramite il pallone autoespandibile, mentre il collega Marco, armadio a 4 ante appassionato di Body Building, mi sostituisce nelle compressioni toraciche. Il medico, intanto, accende il defibrillatore e posiziona le piastre sul torace del paziente: “Tutti via, scarico!”. Il corpo di Mario sobbalza attraversato dalla corrente elettrica. “Niente, è ancora in fibrillazione”, dico piano al medico mentre fisso il monitor. E lui, ancora una volta: “Toglietevi tutti! Scarico di nuovo!”. E stavolta, la defibrillazione ha successo: ricompare un tracciato sinusale sullo schermo, il polso torna palpabile e Mario riprende a respirare da solo. “Ok, ragazzi: l’abbiamo ripreso! Bravi tutti!”, asserisce il medico guardando uno ad uno gli infermieri e anche il caro OSS, impegnato a reggere in piedi un separè difettoso e a tranquillizzare gli altri pazienti della stanza con le sue impareggiabili battute lucane. Il tutto enfatizzato da qualche festoso ‘Yuuuhuuu’ provenienti dal letto 16.1.

Dopo aver risistemiamo Mario e la sua postazione, facciamo per uscire dalla stanza quando, passando davanti al letto 16.2, mentre ci complimentiamo a vicenda per l’efficace soccorso, il signor Giacomo ci intima una sorta di ‘ALT alzando la mano destra. Ci fermiamo tutti, medico compreso, in silenzio. L’anziano ci scruta uno ad uno, annuendo impercettibilmente col capo e senza abbassare la mano alzata. Siamo tutti in attesa del suo vagito, che dall’espressione solenne del suo viso si preannuncia come qualcosa di memorabile. E le aspettative non vengono affatto deluse: L’avete ripreso… ma io dico: che l’avete ripreso a fare? Tanto prima o poi tutti dobbiamo morire…Abbassa poi la mano e chiude gli occhi, di fatto congedandoci e dandoci così modo di riflettere sulle sue ineluttabili parole. Usciamo in silenzio dalla stanza, moderatamente placati nel nostro ardore professionale, ma pronti ad una fragorosa e fisiologica risata.

Entro finalmente nella stanza 18, in ritardo marcio sulla mia tabella di marcia, ma con l’umore comunque sollazzato da altri grandiosi ‘Uuuahaaa’ e ‘Yuuuhuuu’ provenienti dalla stanza 16 e che riecheggiano in ogni dove. Sto per montare la flebo della sorridente e sdentatissima vecchietta del letto 18.1, quando sento arrivare qualcuno di corsa. Si arresta alle mie spalle e mi sussurra timidamente con un inequivocabile accento lucano: “Ale, scusami, ti ricordi la vecchietta del 19.4 che minacciava di buttarsi di sotto? È sul pavimento, adesso. Ho già allertato il medico. Verresti con me a tirarla su?

Eh sì. Sarà una giornata decisamente lunga.

Alessio Biondino

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