Le fondamenta della professione infermieristica sono molteplici e partono dallo sviluppo di competenze ben precise sia dal punto di vista tecnico-pratico che sociopsicologico
Il “curante” è una persona dotata di grande capacità analitica e riflessiva, sempre pronto a mettere il proprio sapere e le proprie conoscenze in discussione, è flessibile e predisposto al confronto con l’ambiente che lo circonda, assumendo un atteggiamento attivo e propositivo nei confronti della formazione continua.
L’elemento Responsabilità assume un ruolo molto rilevante poiché, se in diversi ambiti professionali si lavora prettamente con numeri o oggetti, quindi con elementi materiali, l’ambito sanitario, ha “come oggetto in questione” i Pazienti, quindi esseri umani. Tutto questo è intercalato in un contesto lavorativo dove lo spirito di gruppo e la collaborazione fra colleghi diventano risorse essenziali per affrontare al meglio le giornate lavorative che spesso procedono con ritmi serrati.
Queste particolarità assumono una valenza duale poiché, se da un lato possono essere considerate come “motori motivazionali”, che costantemente alimentano e riempiono di energia e soddisfazione il curante, dall’altro lato possono rivelarsi elementi estremamente nocivi per la salute stessa dei curanti e del gruppo di lavoro quando non gestiti al meglio e coordinati, diventando una fonte di Stress.
Dal punto di vista personale sono varie le motivazioni che hanno permesso la nascita della collaborazione fra i colleghi infermieri. Una delle motivazioni più significative è che durante lo svolgimento dei turni di lavoro ci si è resi conto da subito di quanto l’elemento “Stress” sia presente e come a volte esso stesso alimenti dinamiche sfavorevoli al contesto di cura.
Inoltre la professione infermieristica ha subito un’evoluzione per potersi adattare a tutti questi cambiamenti; nel corso del tempo la generazione dei professionisti sanitari ha acquisito sempre più competenze per garantire la nascita di infermieri pronti a rispondere ai bisogni assistenziali di un ambiente organizzativo sempre più articolato e di pazienti sempre più fragili e compromessi (Alligood, & Tomey, 2007). Il profilo professionale dell’infermiere ha una dimensione dinamica che si è evoluta contemporaneamente al contesto socioeconomico. Il curante deve essere una persona che in sé ha sviluppato la dimensione umanistico-cognitiva come del resto tecnico-pratica; infatti durante l’esercizio della sua professione si serve della dimensione cognitiva ed emotiva e si lascia guidare nel suo fare dalla pratica riflessiva; inoltre esso sarà in grado di utilizzare strumenti e tecnologie per eseguire atti tecnico infermieristici (Zanotti, 2010).
L’attuale profilo professionale dell’infermiere è un costrutto di sette domini:
- Ruolo di esperto in cure infermieristiche: ogni infermiere è responsabile all’interno del sistema sanitario del proprio agire professionale, delle azioni compiute guidate dall’analisi e dalle riflessioni;
- Ruolo di comunicatore: l’infermiere è colui che facilita la genesi di relazioni di fiducia nel contesto del quale agisce e trasmette informazioni pertinenti;
- Ruolo di membro di un gruppo di lavoro: ogni infermiere è visto come un membro di un gruppo di lavoro che interagisce efficacemente con le varie figure professionali e l’utenza;
- Ruolo di manager: in qualità di manager l’infermiere si fa carico, entro i limiti della propria competenza specifica, di offrire un contributo che miri al miglioramento dell’organizzazione mantenendo un costante aggiornamento;
- Ruolo di promotore della salute: ogni infermiere è un promotore della salute; sfruttando le proprie conoscenze, stimola ed educa l’utenza a mantenere e o migliorare la stessa;
- Ruolo di apprendente ed insegnante: ogni infermiere è consapevole della sua essenza duale; da una parte è portato ad aggiornare costantemente le proprie conoscenze e dall’altra a veicolarle nell’équipe;
- Ruolo di appartenenza personale: ogni infermiere riconosce ed identifica come proprio l’assunto di essere parte attiva nella comunità, tutelandola e promuovendo la salute (DEASS, 2011).
Il processo attraverso il quale una persona diventa professionista è in divenire e soprattutto non termina mai all’interno della propria carriera (Benner, Calamandrei, & Rasero, 2003). Infatti, l’acquisizione del profilo di competenze e la maturazione dell’esperienza in campo lavorativo sono dei requisiti fondamentali per fare fronte ai bisogni di cura del paziente, che vengono soddisfatti mediante l’erogazione dell’assistenza infermieristica (Sasso, Gamberoni, Marmo, Rocco, & Tibaldi, 2003).
Le principali tematiche con le quali un infermiere si confronta durante la pratica dell’assistenza possono essere suddivise in tre dimensioni:
- la prima sono la salute e la malattia, poiché ad un’alta instabilità clinica corrisponde un’elevata competenza tecnica ed un’alta capacità di collaborazione interprofessionale (Sasso, et al., 2003). All’infermiere sarà anche richiesto un intervento tecnico autonomo (Sasso, et al., 2003).
- la seconda dimensione è rappresentata dalla capacità dei pazienti di definire le proprie necessità in relazione ad uno stato di salute o malattia e di scegliere consapevolmente i comportamenti idonei: più bassa è questa capacità, più elevata e specifica diventa la competenza educativa-relazionale a cui l’infermiere deve far fronte (Sasso, et al., 2003).
- l’ultima dimensione è rappresentata dalla possibilità, da parte dell’infermiere, di agire autonomamente ed efficacemente rispetto allo stato di salute o malattia che ritrova nel paziente: più complessa si presenta la situazione clinica più difficili sono le decisioni da prendere; l’infermiere in questo caso è chiamato a sfruttare tutto il suo bagaglio di conoscenze ed esperienze come anche utilizzare il sostegno dell’équipe come risorsa (Sasso, et al., 2003).
Si sottolinea inoltre, di come sia importante la sindrome di adattamento che l’infermiere può presentare all’interno di un’organizzazione sanitaria.
La sindrome di adattamento generale è composta da tre fasi:
- La prima, definita come fase di allarme, all’interno della quale vi è la cosiddetta reazione di lotta o fuga il cui scopo è mantenere l’integrità fisica e garantire la sopravvivenza (Rossati & Magro, 2001). Questa fase permette di “attaccare” se il pericolo percepito viene valutato come inferiore alle proprie risorse, quindi più debole, oppure di “fuga” se il confronto con esso non viene valutato vantaggioso (St. Pierre, Hofinger, Buerschaper, Simon, & Daroui, 2013).
- La seconda, di difesa o di resistenza, avviene quando la prima non elimina lo stressor e si continuano a mettere in atto i meccanismi fisiologici e comportamentali della prima fase (Duval et al., 2010).
- La terza, fase di esaurimento, avviene quando l’organismo consuma le sue riserve utili a contrastare lo stressor, che non riesce ad essere eliminato, causando modifiche organiche e psichiche (Di Nuovo et al., 2000). ).
Nell’ambiente ospedaliero, come anche in quello extra ospedaliero, risultano numerevoli i fattori stressogeni, definiti come fattori che inducono lo sviluppo di stress (St. Pierre et al., 2013). Sono stati individuati come generatori di stress acuto quelli correlati a situazioni critiche, dove vi sono le competenze tecniche ed esperienziali per farvi fronte; mentre quelli che generano stress cronico sono riconducibili all’ambiente di lavoro (St. Pierre et al., 2013).
L’insieme dei fattori cronici e acuti hanno un effetto additivo (St. Pierre et al., 2013). La conseguenza è che i lavoratori esposti continuamente a fattori di stress cronico hanno una maggior difficoltà nell’affrontare situazioni critiche o carichi di lavoro molto elevati (che rappresentano stress acuti) rispetto a chi non soffre la presenza di questi fattori (Di Nuovo et al., 2000). L’ attesa di un “Direttore Generale ”, di un “Direttore Sanitario “ e di un “Dirigente infermieristico” competenti, potrebbe paralizzare i contesti sanitari che rischiano di generare o aumentare la percezione di frustrazione e di impotenza tra il personale sanitario che non riconosce l’ importanza degli aspetti emotivi nelle stesse organizzazioni sanitarie.
La resistenza al cambiamento dunque, è spesso accentuata dal fatto che l’infermiere non coglie, o non ha la possibilità di proporre, significative connessioni tra il cambiamento richiesto e l’attesa di miglioramento del “clima” del proprio contesto lavorativo.
Spesso guarda l’opportunità del cambiamento solo come un elemento esterno, di per sé disturbante e minaccioso. Una seria analisi del clima interno, se condiviso e professionalmente ben condotto, permette di tornare sulle ipotesi di miglioramento operativo aumentando significativamente le probabilità di successo. E’ evidente che questi passaggi sono possibili laddove l’autonomia gestionale degli Infermieri viene riconosciuta come tale.
La natura del cambiamento richiede insomma di investire sulla motivazione intrinseca degli infermieri, sul legame tra infermieri e coordinatori e sull’ immagine di sé che si trasferisce nell’ autostima e nell’ efficacia personale. Gli infermieri lavorano di fatto, in realtà ancora connotate da meccanismi gerarchici tipicamente medicalizzati dove è lasciato poco spazio all’espressione del singolo, nuocendo il proprio benessere psicologico, sociale e fisico. Tale situazione di scollamento organizzativo e motivazionale, se presente, genera il fenomeno denominato “disagio organizzativo” intendendo con questo termine qualsiasi dinamica, di natura personale, sociale o istituzionale, che impedisca in modo rilevante il raggiungimento degli obiettivi organizzativi e del benessere dell’ operatore. Sul piano opposto del disagio organizzativo si colloca invece il benessere organizzativo, inteso come la capacità dell’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori. Si tratta, infatti, di un costrutto multidimensionale, basato su diversi fattori in grado di determinarlo e/o influenzarlo, sia a livello individuale che di gruppo.
La soddisfazione del personale sarà lo specchio di un’ottima struttura al cui interno essi potranno manifestare la loro professionalità verso gli utenti ed avere buoni rapporti con i colleghi ed è, quindi, un criterio di giudizio sulla qualità di alcune funzioni ed aspetti dell’organizzazione ospedaliera poiché, tale struttura organizzativa considerata nel suo complesso, per poter sopravvivere e crescere deve tener conto anche degli interessi degli operatori stessi. Purtroppo la raltà non è sempre così , pertanto solo chi è capace di cambiare sopravvive. “Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere ma quella che si adatta meglio al cambiamento” – Charles Darwin).
Dott.ssa Monica Cardellicchio
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