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La rilevazione del fabbisogno di personale infermieristico in Italia: il punto della situazione

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La dotazione organica degli infermieri in Italia
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Ogni giorno si parla della carenza di personale infermieristico nelle realtà ospedaliere italiane; il tema è tanto importante in quanto vissuto come urgente dagli infermieri che lavorano in prima linea e dai sindacati che coraggiosamente danno voce ai loro problemi.

Ma cosa significa determinare il fabbisogno di personale infermieristico, cosa dice la normativa, cosa si è fatto finora in Italia e perché non riusciamo ad evolverci da una situazione che ci impedisce di svolgere il nostro mandato professionale, sacrificando la sicurezza assistenziale sull’altare dell’economicità del sistema?

La storia inizia nel lontano 1969, con il DPR 27 marzo n.128, (“ordinamento interno dei servizi ospedalieri”), laddove si leggeva che la dotazione organica del personale sanitario (allora definito “ausiliario”) addetto ai servizi di diagnosi e cura doveva assicurare un tempo minimo di assistenza effettiva per malato di 120 minuti nelle 24 ore, aggiungendo che “deve prevedere: un capo-sala, un infermiere professionale sempre presente in ogni sezione e, inoltre, un adeguato numero di infermieri professionali e generici.” [1] Tale minutaggio saliva, nel caso di  dotazione organica del personale di rianimazione o che prestasse assistenza a neonati immaturi, a 420 minuti nelle 24 ore, specificando, inoltre, che “la dotazione organica (…) deve essere stabilita secondo le effettive esigenze del servizio stesso.”

In seguito intervenne la delibera CIPE del 20/12/1984, la quale fissava una parametrazione basata sulla suddivisione in settori. I settori di terapia intensiva, ad esempio, prevedevano un tempo di assistenza pro-die e per degente da 500 a 600 minuti; i settori di terapia sub intensiva da 200 a 240 minuti; gli altri settori di degenza da 70 a 90 minuti.

Nel 1988, con il DM del 13 settembre, veniva affrontata una riorganizzazione ospedaliera all’interno della quale si decidevano standard di personale da applicarsi ai fini della revisione degli organici; tali standard erano stabiliti con riferimento a moduli organizzativi tipo (es. modulo composto da 8 posti letto): a ciascun modulo corrispondeva un numero esatto di personale medico e infermieristico. Una unità operativa poteva essere costituita da più moduli. Le aree erano divise in: terapia intensiva e sub intensiva, specialità ad elevata assistenza (es. cardiochirurgia, neurochirurgia), specialità a media assistenza (es. nefrologia, neurologia …), specialità di base (es. chirurgia e medicina generale, ortopedia), riabilitazione, lungodegenza.  Ad esempio, per le malattie infettive si ordinavano, per ogni modulo formato da 40 posti letto, 35 unità di personale infermieristico e 11 unità di personale medico.

Si comincia a parlare di qualità delle cure ma anche di appropriatezza, economicità, efficienza ed efficacia con il d.lgs 502/1992, secondo il quale le regioni disciplinano le modalità organizzative e di funzionamento delle unità sanitarie locali, prevedendo i criteri per la definizione delle dotazioni organiche [2].

La circolare n.6 del 1994, riferendosi alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs 3 febbraio 1993, n. 29 (“Per   amministrazioni   pubbliche   si   intendono   tutte   le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti  e  scuole  di ogni  ordine  e  grado  (…) le  amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale”) pone in capo alle stesse l’obbligo di provvedere alla verifica dei carichi di lavoro, da ripetersi con cadenza biennale; operazione finalizzata esplicitamente alla rideterminazione delle dotazioni organiche.

Il carico di lavoro viene allora definito come “la quantità di lavoro necessario delle diverse qualifiche e professionalità, dato un contesto operativo e un periodo di riferimento, per trattare i casi che vengono sottoposti ad una unità organizzativa in dipendenza delle esigenze espresse da utenti finali, delle attività di altre unità organizzate dallo stesso ente, dagli obiettivi di produzione assegnati.” [3]

Nel tempo sono stati proposti diversi metodi atti a definire il carico di lavoro, molti dei quali si basano esplicitamente sulla determinazione di un minutaggio assistenziale; ad esempio, il metodo svizzero fornisce tempi di assistenza diretta, indiretta e indiretta nelle 24 h, considerando i degenti come appartenenti a classi differenti a seconda del loro grado di autonomia oppure dipendenza [4].

Alcune raccomandazioni pubblicate nel 2011 sostenevano la necessità di “garantire 220 minuti totali di assistenza per paziente al giorno”, specificando inoltre che “è accettabile una proporzione di personale di supporto fino ad un massimo del 40%, garantendo in tal caso 132 minuti di assistenza infermieristica e 88 minuti di assistenza erogata dal personale di supporto.” [5]

Il contesto italiano, improntato a un’ottica di contenimento dei costi, richiede alle Regioni di individuare modalità sempre più efficienti per garantire l’assistenza ai pazienti, in un quadro che è stato definito recentemente dalla regione Lombardia “di risorse finite” [6]

Ogni regione, nell’autonomia che la contraddistingue, ha regolamentato in maniera più o meno articolata e precisa la materia. In una deliberazione della giunta della regione Veneto del 2014 si parla a tal proposito di Tema [7] (“Tempo di Erogazione Minuti di Assistenza”); in tale documento si legge che “la definizione delle dotazioni di personale infermieristico e di supporto necessario a garantire adeguati e appropriati livelli assistenziali secondo standard qualitativi definiti” è “uno degli elementi strategici nel dominio della programmazione sociosanitaria regionale”, riconoscendo il ruolo centrale che l’argomento riveste ai fini della tutela della salute del cittadino. Il lavoro svolto dalla regione Veneto ha visto l’aggregarsi delle specialità in aree omogenee ritenute assimilabili dal punto di vista clinico e organizzativo; il valore del Tema si ricava da un calcolo comprendente i minuti di assistenza erogati da infermieri e OSS e l’indicatore di presenza media dei pazienti; esso esprime il valore dei minuti/persona assistita/giorno.

Dal canto suo la Lombardia, già con il DGR 6/8/98, sosteneva che “unità di misura dell’assistenza infermieristica è il minuto/paziente/die”, suddividendo il minutaggio richiesto in base all’intensità delle cure (es. specialità di base 120 minuti, specialità di media assistenza 180 minuti, specialità dell’area sub intensiva 300 minuti, etc..) [8]

Nel 2015 il CID sezione Lombardia ha pubblicato un documento nel quale si pone l’attenzione sul tema dello skill mix; nel considerare il tempo impiegato, infatti, bisogna includere l’attività del personale di supporto e alcune considerazioni vanno poste circa la mancata esternalizzazione di certe attività, la quale obbliga il personale OSS a dedicare una quota delle ore lavorate al loro espletamento. Oltre a ciò, è opportuno considerare la diversità di organizzazione presente nelle differenti unità operative, la durata della degenza, lo svolgimento di attività burocratiche o di segreteria da parte del personale sanitario, la presenza di studenti [9].

Il calcolo del fabbisogno di personale deve inoltre tenere conto delle assenze dovute a malattia, infortunio, ferie, formazione, permessi retribuiti, presenza di lavoratori part-time, etc.

A luglio 2018 sono state diffuse le linee di indirizzo per la predisposizione dei piani dei fabbisogni di personale da parte delle pubbliche amministrazioni [10], dalle quali si evince il passaggio a una concezione dinamica, basata sulla stesura di piani di fabbisogno del personale triennali e coerenti con il ciclo della performance. I modelli fondati sulle dotazioni organiche storicizzate, discendenti dalla rilevazione dei carichi di lavoro, sono stati quindi superati.

Il concetto di fabbisogno di personale viene declinato ora dal punto di vista quantitativo (consistenza numerica) e qualitativo (competenze professionali opportune). Per quanto riguarda il primo aspetto, cioè quello quantitativo, si pone l’attenzione sulla necessità di individuare parametri “che consentano di definire un fabbisogno standard per attività omogenee o per processi da gestire”.

La definizione delle risorse umane necessarie si configura esplicitamente, all’interno di queste linee di indirizzo, come un presupposto al perseguimento di obiettivi di performance organizzativa e di erogazione di servizi di qualità.

Ricordiamo che un numero adeguato di personale è legato a una diminuzione dei tassi di mortalità[11]; in alcuni studi è stato dimostrato che un aumento di un paziente per infermiere comporta una crescita del 7% del rischio di decesso entro 30 giorni dal ricovero e un aumento del 23% del rischio di burnout.

Lo studio Registered Nurse Forecasting in Europe (RN4CAST) ha rilevato come, in Italia, il nurse-staffing ratio sia di 9.5 pazienti per infermiere, maggiore rispetto agli altri paesi europei;a causa di ciò, gli infermieri italiani non hanno il tempo di implementare piani di dimissione ospedaliera, con la conseguenza di un carico di lavoro più rilevante e di un ampliamento dei costi susseguenti a più alti tassi di riospedalizzazione [12].

Il tema è di grandissima importanza per ogni professionista sanitario e non unicamente per gli infermieri; come sostiene Amati, medico presso l’ASL di Biella, “essere esposti a carichi di lavoro eccessivi può portare alla rottura di quel sottile equilibrio che tiene in piedi il sistema”, alla perdita del benessere lavorativo e quindi anche delle prestazioni erogate in termini quantitativi e qualitativi; il lavoro, scrive, “si sta trasformando in una lotta darwiniana” [13].

E’ vero che “120 minuti di assistenza andavano forse bene nel 1969, quando la degenza media era di venti giorni e i pazienti totalmente dipendenti non più di tre per reparto, quando la terapia infusionale riguardava il 20% dei pazienti degenti e i grandi anziani avevano ottanta anni. Oggi 120 minuti di assistenza sono economicamente sostenibili ma eticamente incompatibili.” [14]

Dobbiamo certamente considerare che quanto esposto si inserisce all’interno di una realtà di contenimento della spesa, nella quale alle regioni è chiesto di definire adeguati standard organizzativi “comprensivi dei riferimenti alle figure professionali ed alla numerosità del personale addetto nel rispetto, per quanto attiene alle strutture pubbliche, degli obiettivi di contenimento dei relativi costi fissati dalla normativa vigente;” [15] è però altresì assodato che in questo marasma legislativo rischiamo di perdere di vista il fulcro del nostro mandato professionale: la persona, con tutti i suoi bisogni di salute, spesso difficilmente conteggiabili, ardui da rilevare e da stabilire a priori.

Dobbiamo ricordare come qualsiasi sistema di classificazione “risente, in varia misura, del tentativo di ridurre a un insieme finito e standardizzato l’universo potenzialmente infinito delle modalità di espressione dei bisogni di assistenza infermieristica.” [16]

L’unicità della persona umana male si inserisce all’interno di tabelle standardizzate; all’imprevedibilità clinica vi è da aggiungere l’importanza della personalizzazione dell’assistenza ai fini del raggiungimento di outcome significativi sia per l’azienda sia per il paziente.

L’infermiere, nell’attuale contesto sanitario, ricopre un ruolo di garante dei diritti del cittadini; è il professionista più prossimo al paziente, più vicino alle sue molteplici necessità, per la natura stessa della professione infermieristica, la quale è fondata sulla relazione autentica e sulla comprensione.

Per questo motivo riteniamo indispensabile che la comunità professionale rifletta in maniera più allargata su questi temi, ponendoli al centro del dibattito culturale e politico attuale.

 

Daniela Pasqua

 

[1] DPR 27 marzo 1969, n.128 – Ordinamento interno dei servizi ospedalieri

[2] D. lgs 502/1992

[3] CIRCOLARE 23 marzo 1994, n. 6, Carichi di lavoro delle amministrazioni pubbliche e dotazioni organiche delle Amministrazioni dello Stato

[4] Ghizzoni, Aletto, La gestione del lavoro a turni e il calcolo del fabbisogno di personale, in Calamandrei, Manuale di management per le professioni sanitarie, McGraw Hill 2015

[5] Saiani et al., da https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato6768223.pdf

[6] Regione Lombardia, Regole 2018 – Deliberazione n. 7600 del 20.12.2017 “Determinazioni in ordine alla gestione del servizio sociosanitario per l’esercizio 2018”

[7] Regione Veneto, Deliberazione della giunta regionale n. 610 del 29 aprile 2014.

[8] Regione Lombardia, DGR 6/8/98, definizione di requisiti e indicatori per l’accreditamento delle strutture sanitarie (a seguito di parere della commissione consiliare competente)

[9] CID Lombardia, Stima del fabbisogno per il personale del comparto, IJN N.13/2015

[10] Linee di indirizzo per la predisposizione dei piani dei fabbisogni di personale da parte delle pubbliche amministrazioni, Registrato presso la Corte dei Conti il 9 luglio 2018 – Reg.ne – Succ 1477 – Pubblicata in  Gazzetta Ufficiale- Serie Generale n. 173 del 27 luglio 2018

[11] Needleman et al., Nurse Staffing and Inpatient Hospital Mortality, N Engl J Med 2011;364:1037-45

[12] SASSO, Loredana, et al. The general results of the RN4CAST survey in Italy. Journal of advanced nursing, 2017, 73.9: 2028-2030.

[13] Dario Amati, I carichi di lavoro: qualcosa che tutti devono conoscere, I Conferenza Anaao Giovani – Bari 20 giugno 2013, da https://95.110.224.81/anaao/public/aaa_5407667_amati_carichi_lavoro_testo.pdf

[14] Dario Laquintana, Assist Inferm Ric 2016;35(4):168-173

[15] Decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera.

[16] Paolo Carlo Motta, Introduzione alle Scienze Infermieristiche, Carocci Faber 2002

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