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La defibrillazione: responsabilità e criticità infermieristiche

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La defibrillazione: responsabilità e criticità infermieristiche
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La defibrillazione è una pratica terapeutica che utilizza una scarica controllata di corrente elettrica allo scopo di correggere anomalie del ritmo cardiaco che ingenerino una funzionalità emodinamica non soddisfacente ai fini dell’ossigenazione tissutale del paziente.

Quando si verifica un arresto cardiaco, il cuore smette di battere. Può smettere di battere a causa di una malattia o di un trauma evidente, o anche arrestare inaspettatamente per una serie di motivi. Quando questo accade si parla di arresto cardiaco improvviso; Secondo l’American Heart Association, il danno cerebrale inizia dopo 4-6 minuti e la morte può verificarsi entro alcuni minuti se non si è defibrillati.

Esistono vari disturbi del ritmo e si distinguono interpretando un ECG:

  • Con de-sincronizzazione atriale avremo una fibrillazione atriale con l’assenza dell’onda P;
  • In caso di una tachiaritmia sopra-ventricolare (sopra il fascio di His) con attività atriale sincronizzata e regolare con frequenza elevata fra 240-300 bpm avremo un flutter atriale
  • In caso di una tachicardia sopra-ventricolare da rientro nodale (con onda P retro-condotta) avremo un ritmo elevato parossistico fra 150 e 180 bpm
  • Con una tachicardia ventricolare con una frequenza di 3 o più battiti di origine ventricolare troviamo un onda ventricolare allargata
  • In caso di fibrillazione ventricolare avremo una aritmia cardiaca rapidissima, caotica, che provoca contrazioni non coordinate del muscolo cardiaco dei ventricoli nel cuore.

Il risultato è che la gittata cardiaca cessa completamente. La fibrillazione ventricolare è uno dei quattro tipi di arresto cardiaco (fibrillazione ventricolare, tachicardia ventricolare senza polso, asistolia, attività elettrica senza polso)

Gli infermieri possono intervenire? A quali responsabilità incorrono?

La sopravvivenza in caso di arresto cardiaco dipende dalla realizzazione della corretta sequenza di una serie di interventi. La metafora, coniata dall’American Heart Association “Catena della Sopravvivenza” esprime, in modo sintetico e facilmente memorizzabile, l’approccio universalmente riconosciuto sottolineando l’importanza della sequenza e della precocità degli interventi salvavita. La catena della sopravvivenza è costituita da 4 anelli concatenati tra loro: la mancata attuazione di una delle fasi porta inevitabilmente all’interruzione della catena riducendo in modo drastico le possibilità di portare a termine con esito positivo il soccorso.

1° anello = ALLARME PRECOCE: attivazione precoce del sistema di emergenza (118)

2° anello = RCP PRECOCE: inizio precoce delle procedure di Rianimazione Cardio Polmonare

3° anello = DEFIBRILLAZIONE PRECOCE: utilizzo precoce del DAE

4° anello = ALS PRECOCE: tempestiva applicazione delle procedure di soccorso avanzato (ALS: advanced life support).

L’abolizione del D.P.R. 225/74 (meglio conosciuto come Mansionario) consente di fatto un’autonomia e una responsabilità maggiori all’attività dell’infermiere e permette di porre le basi perché essa diventi una professione a tutti gli effetti.

Allo stato attuale, benché il profilo di tale professione non sia stato ancora del tutto delineato, esso si basa sostanzialmente su tre criteri:

  • Il codice deontologico che risale al maggio 1978.1
  • Il regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere dettato dal decreto n. 739 del 14/9/1994.2
  • La definizione degli ambiti operativi, direttamente derivante dalle materie e dagli argomenti trattati nel programma di Laurea in Scienze Infermieristiche (decreto 2/12/1991).

In Italia è stata approvata una Legge dello Stato, la Legge n. 120/2001 (“legge Monteleone” dal nome del suo primo firmatario), grazie alla quale sia gli infermieri sia il personale non sanitario potranno effettuare la defibrillazione elettrica utilizzando i Defibrillatori Semiautomatici Esterni dopo opportuno corso di addestramento.

Questa legge rappresenta un’innovazione di assoluto rilievo che pone l’Italia e, in particolare, gli infermieri italiani in prima linea nella lotta all’arresto cardiaco intra- ed extraospedaliero.

Gli aspetti medico-legali prevedono che un infermiere o, addirittura un laico, che abbia effettuato un corso di formazione (abbia, cioè, maturato i crediti formativi) sulle manovre di rianimazione cardiopolmonare e sulla defibrillazione elettrica è a tutti gli effetti autorizzato a intervenire attivamente in caso di arresto cardiaco.

Gli aspetti tecnici sono stati notevolmente semplificati dal Defibrillatore semi Automatico Esterno (DAE) che rappresenta uno strumento di facile e sicuro utilizzo dopo un breve addestramento.

Il DAE è in grado di determinare automaticamente, attraverso uno o più elettrocardiogrammi ripetuti nel tempo, a seconda del modello del dispositivo, se il paziente è stato colpito da arresto cardiaco. Solamente se il paziente si trova in questa condizione, il dispositivo si predispone per erogare la scarica elettrica selezionando il livello di energia necessario. Infatti, l’utente che utilizza il defibrillatore non ha in alcun modo la possibilità di erogare uno shock al cuore del paziente se il dispositivo non lo ritiene necessario. Semplice da utilizzare, occorre solamente applicare gli elettrodi sul petto del paziente e seguire le indicazioni della guida vocale presente all’interno del defibrillatore stesso.

Sotto il profilo penale si è discusso ampiamente del tema dell’esercizio abusivo della professione sanitaria, di cui all’articolo 348 del Codice Penale, correlato nella fattispecie all’utilizzo da parte di non medici di un’apparecchiatura elettromedicale.

Per quel che attiene agli infermieri, si poteva ritenere la questione superata sulla base di un’interpretazione evolutiva delle norme in merito, giacché appare evidente la riconducibilità ad una legittimazione dell’utilizzo del defibrillatore, nell’ambito di protocolli di rianimazione avanzata (quali potrebbero essere, per citarne due largamente accreditati, l’ALS o l’ACLS), da un’attenta lettura dell’articolo 10 del Decreto del Presidente della Repubblica del 27 marzo 1992, secondo il quale l’infermiere, nello svolgimento del servizio di emergenza, è autorizzato a mettere in atto “manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio”.

Questo passaggio appare decisamente esplicativo e chiarificatore per quanto concerne la possibilità per l’infermiere di praticare non solo la defibrillazione, ma anche tutte quelle manovre, anche invasive, che consentono la stabilizzazione del paziente (o ne impediscono addirittura la morte) e il suo trasporto verso una struttura sanitaria adeguata al singolo caso clinico.

Da aggiungere che alcune correnti di giuristi desumono l’inappellabilità allo “Stato di Necessità” di cui all’articolo 54 C.P., poiché esso consta della sopravvenienza del tutto imprevedibile di una condizione che, per la sua gravità, rende lecite azioni altrimenti illecite al fine di salvaguardare beni primari (quale è la vita) messi in pericolo da tali pericolose contingenze. Il fatto stesso, appunto, di collocare un DAE in un contesto o scenario, vuole significare che in tale scenario è prevedibile (e questo annulla di fatto la condizione di sussistenza giuridica dello “Stato di Necessità” di cui sopra) il verificarsi di un arresto cardiocircolatorio. Per tale motivo non ha rilevanza lo “Stato di Necessità”, ma addirittura in un simile contesto di prevedibilità dell’evento dannoso, chi abbia a disposizione un DAE e lo sappia usare, assume una posizione di garanzia nei confronti di chi tale evento lo possa subire.

Questo implica peraltro che il soggetto che utilizza la macchina in un caso di arresto cardiaco potrà rispondere, ai sensi dell’articolo 582 del C.P., di eventuali lesioni o decessi legati ad un improprio o scorretto utilizzo del DAE e delle manovre rianimatorie ad esso collegate.

In pratica, qualora sia presente un DAE e si è abilitati ad usarlo, si ha il dovere di intervenire, proprio per la posizione di garanzia che occupa il personale sanitario. Dunque, come abbiamo visto, l’utilizzo di un’apparecchiatura elettromedicale per la defibrillazione precoce ingenera una serie di responsabilità e di dinamiche non solo cliniche, ma anche medico-legali, per far fronte alle quali è necessaria la padronanza della materia che solo una corretta preparazione, formazione e aggiornamento possono garantire.

Roberto corbezzolo – Servizio informativo del Gruppo ACILF


Fonti: IPASVI, la Legge per tutti, Camera.it, SIC (Società Italiana Cardiologia), Aniarti, Salute.gov

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