L’AADI, Associazione Avvocatura di Diritto Infermieristico, ha deciso di presentare al Governo Italiano e all’Aran un’istanza firmata dal suo presidente, Mauro Di Fresco. L’oggetto è piuttosto chiaro: “Istanza – contrattazione separata professioni sanitarie ai sensi dell’art. 40, co. 2 u.p., D.Lgs. 30.03.2001 n.165.”
L’uscita della professione infermieristica dal comparto sanità, quindi. Ma non solo… Perché alla fine del suo scritto, l’associazione richiede esplicitamente che gli vengano comunicate “quali organizzazioni sindacali si opporranno a questa proposta ovvero quali aderiranno, affinché gli infermieri sensibili al fenomeno possano essere legittimamente informati”.
Si prospetta un forte terremoto professionale all’orizzonte…? Riportiamo qui, integralmente, la clamorosa richiesta di AADI
Ill.me SS.LL., questa Associazione vorrebbe esprimere alcune importanti considerazioni che indurrebbero la contrattazione collettiva di lavoro verso approdi più significativi, sia in senso produttivo che settoriale, assumendo tra i comuni accordi che riguardano i lavoratori in generale, anche settori marginali che riguardano essenzialmente ed esclusivamente solo particolari esigenze, dettate perlopiù dalla natura e dalle funzioni di specifiche categorie professionali.
Si tratta a ben vedere delle professioni sanitarie e di come si potrebbe colmare un vuoto contrattuale attraverso la normativa in oggetto che prevede la possibilità di assegnare a queste professioni, “nell’ambito dei comparti di contrattazione, di costituire apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità”, la loro particolare originalità funzionale e modale, affrancandoli dalle comuni categorie dei lavoratori (operai e impiegati) che formano un unicum contrattuale privo degli elementi caratteriali delle professioni sanitarie.
Le riforme legislative che hanno interessato anche recentemente le professioni sanitarie (V. per esempio D.M. 13 marzo 2018), prevedono l’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo professionale e l’obbligo di acquisire n. 150 crediti/triennio di aggiornamento E.C.M.; oltre a tali oneri, non a titolo gratuito, le professioni sanitarie sono sottoposte a ulteriori vincoli che le rendono più vulnerabili rispetto agli altri lavoratori comuni.
A seguito del D.M. succitato, i collegi professionali si sono trasformati effettivamente in Ordini professionali con effetti sulla natura intellettuale delle professioni sanitarie (art. 2229 C.C.), svincolandosi definitivamente dal carattere della sussidiarietà e della diretta subalternità medica, con assunzione di autonomia e responsabilità piene.
Si pensi alla posizione di garanzia che impone al professionista sanitario di garantire l’incolumità dell’utente durante l’espletamento del proprio servizio, con riguardo alla tutela della salute ed alla prevenzione dei danni, anche infortunistici, che durante l’esecuzione assistenziale si potrebbero cagionare all’utente; si pensi alla legge n. 24/2017 che impone esclusivamente alle professioni sanitarie la copertura assicurativa oltre alla soggezione di essere chiamati in causa per rispondere di asseriti fatti illeciti sia civili che penali, con evidenti ricadute patrimoniali e non patrimoniali.
Non si dimentichi la diligenza che deve accompagnare ogni prestazione sanitaria: in tutti i lavoratori del Comparto si chiede la diligenza ex art. 1176, 1° co., cioè quella del buon padre di famiglia, ma alle professioni sanitarie si chiede la diligenza qualificata prevista dal 2° comma del medesimo articolo e quindi una accortezza preparata sia sul piano tecnico che scientifico.
Le prestazioni di lavoro sono dunque sostanzialmente diverse ed è proprio la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lav., con sent. 4 agosto 2015 n. 16336 che ha rimarcato la “delicatezza della professione infermieristica” ricordando che è ben diversa da quella del “portinaio”, in quanto è idonea ad interferire sia positivamente che negativamente sulla salute del cittadino ed è pertanto esigibile una più elevata accortezza e prudenza nel suo esercizio.
Tutte queste ed altre considerazioni, in definitiva, accostano quasi sovrapponendo, le professioni sanitarie a quella medica, che già per retaggio primordiale si è sempre voluto separare dalla massa degli operatori sanitari fino a costituire una elitè che oggi non ha più senso, soprattutto ad opera dell’esclissi del teorema paternalistico da parte del più corretto e attuale dell’autodeterminazione delle cure, il cui consenso informato esprime oggi il massimo valore del rispetto della volontà dell’individuo tanto da assurgere, la sua violazione, in un danno non patrimoniale risarcibile in via autonoma.
Non si spiega, quindi, per la diversa natura e funzione delle professioni sanitarie rispetto alle altre qualifiche funzionali del Comparto, la confusione che ancora oggi persiste nel renderle un tutt’uno, quando gli impegni del corso di laurea e post-lauream caratterizzano la diversità funzionale e modale di queste, rispetto alla classificazione operaia e impiegatizzia dettata dall’art. 2095 C.C.
Ritenere le professioni sanitarie una sorta di classe operaia borghese ripulita dall’ignoranza culturale che la contaminava è del tutto fuorviante!
Le professioni sanitarie costituiscono un’aggregazione di alte professionalità di competenze specialistiche e, soprattutto, una scienza autonoma e separata da quella medica, pur se di comune genesi, e quindi esige, nella sua determinazione propositiva e positiva diretta alla salute della comunità, la naturale conseguenza di tutti i sacrifici sofferti per raggiungere valorosi traguardi e cioè l’autonomia contrattuale, quale massima espressione dell’elevata professionalità e responsabilità che li distingue all’interno del Comparto.
Difatti è pacifico che l’infermiere non sia un dirigente così com’è pacifico che non sia un operaio e un impiegato.
L’art. 2 della legge n. 190/1985 definisce i quadri come lavoratori che svolgono attività di notevole importanza per lo sviluppo e l’attuazione degli obiettivi dell’impresa tra i quali la responsabilità gestionale autonoma dell’insieme delle funzioni demandate al lavoratore in oggetto e la gestione diretta dei rapporti con i terzi e potere di impegnare se stessi e l’azienda.
Ed è proprio in questo senso che il D.M. n. 739/1994 stabilisce l’autonomia e la responsabilità dell’infermiere nella gestione dell’assistenza infermieristica.
Non è possibile sottovalutare o, addirittura, non valutare affatto tutti questi elementi appena descritti perché significherebbe snaturare la definizione stessa di “professione sanitaria” con tutto quello che invece la distingue e la personalizza.
Per tali motivi, questa Associazione non può più tacere su quanto qui esposto e per amore della giustizia deve necessariamente intervenire a favore di una giusta regolamentazione contrattuale, anche perché questa antinomia non può più essere tollerata da questa Associazione che da anni studia il diritto infermieristico italiano; per tali motivi ut supra spiegati, chiede alle SS.LL. di attivarsi per definire e realizzare un tavolo comune con i sindacati firmatari del C.C.N.L. Comparto Sanità, proponendo quanto qui di ragione, per addivenire ad un progetto di specificazione contrattuale che possa finalmente riconoscere quanto è già realtà, affinché quello che finora si è preteso dalle professioni sanitarie in termini di professionalità, aggiornamento, iscrizione all’albo, responsabilità propria civile, penale ed erariale, sia effettivamente riconosciuto anche in materia contrattuale.
Si prega nel contempo le SS.LL. di informare l’Associazione in epigrafe di quali organizzazioni sindacali si opporranno a questa proposta ovvero quali aderiranno, affinché gli infermieri sensibili al fenomeno possano essere legittimamente informati e sostenere le organizzazioni sindacali che accoglieranno tale proposta così da aumentare la compliance.
Con osservanza.
Il Presidente Dott. Mauro Di Fresco
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