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Ischia, il racconto di un infermiere “ho visto colleghi rischiare la vita per salvare i pazienti”

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Il racconto di una giornata straziante vissuta da un infermiere negli attimi successivi alla scossa che ha sconvolto un’isola nel pieno della stagione turistica.


Ho visto…Ho visto tutto! Io c’ero!

Ho visto colleghi attivarsi per mettere in sicurezza i pazienti ricoverati e i loro parenti, spronarli a raggiungere l’uscita, la salvezza.

I volti delle persone che urlavano, che piangevano, che si disperavano.

Ho visto scene drammatiche, colleghi rischiare la vita; tornare su dentro l’ospedale, caricarsi i pazienti in spalla pur di non lasciarli nei reparti ancora traballanti, con puro sprezzo del pericolo!

Ho visto la faccia dei colleghi quando hanno capito che non potevano attendere l’arrivo di squadre speciali di soccorso per evacuare il resto del nosocomio e mettere in sicurezza tutti i pazienti; perché sarebbe passato troppo tempo!

Perché quelle squadre speciali erano già impegnate sul territorio devastato dalla violenza della scossa.

Ho visto colleghi risalire per recuperare gli altri pazienti allettati, quelli non deambulanti, lottare contro la paura di nuove scosse e fare quello che è altamente sconsigliato, prendere l’ascensore insieme al paziente con tutto il letto.

Perché quella persona che vi giaceva era troppo pesante per caricarla in spalla.

Ho visto colleghi rientrare in ospedale, mentre tutti erano fuori, perché non hanno abbandonato i pazienti intubati, quelli della rianimazione; quelli la cui vita dipende da una macchina, nonostante la paura di altre scosse e il pericolo di crolli.

Ho visto colleghi piangere quando hanno appreso che dopo quel turno, dopo quella lunga notte, non avrebbero trovato più una casa perché crollata.

Colleghi che non si sono sfilati i guanti ma hanno continuato ad assistere al meglio quell’utente ferito, spaventato, disorientato.

Ho visto colleghi giungere dalle loro case mentre eravamo nel pieno delle attività di emergenza e venire in ospedale, o meglio fuori dall’ospedale, in soccorso, ad aiutarci per organizzare un mega reparto all’aperto, con pazienti provenienti da tutte le degenze, con ogni tipo di patologia.

Ho visto la solidarietà e negli occhi dei colleghi la preoccupazione di una mamma e di un papà perché ansiosi di ricevere notizie e rassicurazioni riguardo i propri figli, i loro familiari, i loro cari, e continuare ad operare nonostante tutto, mostrando tutto il meglio di loro stessi, tutto l’attaccamento alla loro missione.

Colleghi organizzarsi, creare in poco tempo una postazione infermieristico – medica all’esterno dell’ospedale.

Una postazione che aveva dell’incredibile, ogni tipo di attrezzatura medica di emergenza, un punto di riferimento, un punto d’ascolto.

Era una medicheria, un ambulatorio, un consultorio.

Ho visto colleghi cedere alla paura, perché umani!

Colleghi continuare imperterriti con spirito di abnegazione, infaticabili, zoppicanti per i chilometri percorsi dai loro zoccoli.

Ho visto lo spavento, la speranza, la paura, il dolore; mamma, figlio e nonna ritrovarsi su di una barella, fianco a fianco, dopo ore dalla scossa, da quel boato terrificante che li aveva separati.

Erano ancora impolverati, piangere di gioia perché superstiti dalle macerie, erano ancora tremanti.

Ho visto colleghi esultare alla notizia del salvataggio del primo bimbo.

La gioia della nascita di Anna.

Ho visto la VITA più forte della morte!

 

Marco Sarnataro, un infermiere

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