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IPASVI: urge una strategia politica che favorisca la svolta!

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Infermieri e Politica
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Molto interessanti questi primi tre mesi del 2016, con notizie che hanno riportato al centro il ruolo di Collegi e Ordini, con l’unica pecca che nessuna di queste fosse foriera di buone notizie.

Ci siamo ritrovati sempre più immersi in diversi sconti, esterni ed interni allo stesso IPASVI, attraverso gli episodi di Pescara, Bologna e le sentenze dei tribunali. Non ci siamo di certo annoiati, io per primo, osservando un mondo che tende ad implodere sempre più nella più inutile autoreferenzialità, fatto salvo alcuni ma significativi distinguo.
Peccato che i distinguo abbiano spesso carattere personale e non riescano a trovare un unico denominatore comune, forse perché distanti tra loro anche geograficamente o forse semplicemente perché ci si trova sempre più immersi nel tentativo di salvaguardare quel poco di dignità professionale che ci è rimasta.

Nel mio piccolo, essendomi ormai giocato ogni possibilità di vedere riconosciuta la mia professionalità, da perdere mi è rimasto pochissimo e non mi resta che continuare il mio impegno di pessimo divulgatore di pensieri, nel tentativo di smuovere una classe professionale in coma, un coma indotto e dunque de-responsabilizzato. 

Sarà vero?

Intanto sarebbe interessante riprendere da dove Cavicchi ci ha lasciato pochi giorni fa, ma ne parlerò più avanti, preferisco concentrarmi sulle parole di un collega stimabile come Roberto Romano,  consigliere IPASVI di Firenze.
Mi aveva colpito la sua ultima lettera a Quotidiano Sanità (VEDI), mi aveva colpito esattamente come ha colpito Cavicchi, ovvero un tentativo molto intelligente di riportare sul piano politico le polemiche innescate dal provvedimento dall’Ordine dei Medici di Bologna.

Bisognerebbe aggiungere che probabilmente in quel provvedimento c’è una volontà politica tutta interna alla Fnmceo, che dovrebbe almeno a noi lasciarci indifferenti evitando pericolosi coinvolgimenti e fraintendimenti con la classe medica.
La domanda che mi sono poste, seppur è chiaro il messaggio di Roberto, è quale piano politico. Quello professionale? Quello istituzionale interno? Quello riferito alle politiche sanitarie? Inoltre ciò che il collega asserisce con molta convinzione è praticabile allo stato attuale in cui la frammentazione è così evidente?
Domande che girerò al collega, ma prima mi sia concessa la possibilità di provare ad anticipare le sue risposte con alcune riflessioni di carattere generale.
Affrontare politicamente le questioni sul tavolo non è difficile da un punto di vista semantico ma secondo me non lo è da un punto di vista pratico, proverà a spiegare il perché.
Tempo fa esortai la Presidente Mangiacavalli ha prendere un posizione chiara e fattiva in difesa del Servizio Pubblico, che come tutti gli indicatori ci confermano, è in grave pericolo di depotenziamento, con ripercussioni che potrebbero rilevarsi drammatiche per i cittadini.

Un’esortazione figlia del concetto che il bene “salute” non può rientrare in un contesto commerciabile non solo perché taglierebbe fuori una fetta rilevante della popolazione in seria difficoltà economica ma anche perché non soddisferebbe il principio della tutela universale enunciato nella Costituzione.

Ma una presa di posizione chiara e forte in difesa del Sistema e dei professionisti che vi operano non può essere fine a se stesso, va accompagnato con politiche paritarie nei confronti di chi oggi nel Pubblico non ci lavora e non ha prospettive di lavorarci mai. Un risveglio della concertazione, da non confondersi con quella sindacale ma sicuramente di appoggio ad essa, è necessario se vogliamo provare a dare dignità a tutti gli Infermieri senza alcuna distinzione.

Qui entra in gioco la politica ovvero quella capacità di mediare all’interno di relazioni complesse. Quello che manca non è la politica in se ma quale politica.
Dal mio punto di vista, conosco una sola via per avviare relazioni politiche tra il Sistema e la Professione e tra la Professione e le altre Professioni, ovvero non rinunciare mai ad un concetto basilare: la politica è partigiana e non uso questo sostantivo a caso.
Non è possibile mettere in campo una politica non partigiana, se ciò avvenisse sarebbe improbabile trovare soluzioni accettabili per chi le sta aspettando.
IPASVI deve riconquistare una sua partigiana affermazione in tal senso, un essere “di parte” che è stato azzerato, qualcuno dovrà rispondere di questo.
Essere di parte non significa essere dalla parte degli Infermieri, lo ritengo un dato acquisito, ma significa decidere in quale sistema operare nella convinzione poi di poter incidere sugli altri sistemi (privato, cooperativistico, sociale) sfruttando la logica dei vasi comunicanti che in Sanità esistono e sono l’essenza dell’esistere: esiste una Sanità Pubblica perché esiste quella Privata, esistono le Cooperative Sociali perché esiste una Sanità Pubblica, esiste una condizione sociale perché esiste una Sanità Pubblica che fagocita e non distribuisce rispetto a quella Privata e Cooperativista che invece lavora al ribasso.
In questa logica schierarsi politicamente darebbe a tutti la possibilità di sedersi ad un ipotetico tavolo con autorevolezza, in maniera paritaria senza alcun timore referenziale.
Non sono utili, a mio giudizio, Collegi Provinciali che si adeguano all’attuale sistema, che esaltano quello che non c’è nella speranza di poter guadagnare in visibilità e potere.

Il potere è l’altro problema: esso non ha nulla a che vedere con la politica. Chiunque abbia masticato un po’ di filosofia politica sa bene che il potere non ha scopo, se non quello di mantenere se stesso.
Mi sovvengono le parole di Zygmund Bauman, sociologo polacco ma inglese d’adozione, il quale osservando le dinamiche europee, parlava di “interregno” dal venuto meno del legame tra potere e politica. Pur con le dovute differenze, trovo che la fase di interregno sia ormai preda anche della capacità di visione politica delle Professioni Sanitarie, la nostra in maniera particolare perché la più numerosa delle famiglie e incapace di rendersi guida per le altre, stante il suo valore numerico.
L’interregno in cui oggi IPASVI si trova a lavorare sta inficiando qualsiasi capacità di proposta e di relazione con le altre professioni, perché è abbastanza evidente la difficoltà di riuscire ad avere una posizione univoca dalla quale partire. Inoltre esiste anche una generale sfiducia di fronte al “linguaggio politico” utilizzato che viene percepito distante dalla difficoltà quotidiane che gli Infermieri vivono.

Gli esempi potrebbero essere tanti, dal comma 566, le competenza avanzate, le organizzazioni sanitarie, le condizioni di lavoro degli infermieri, la percezione che essi hanno della loro classe dirigente. Proprio su questo ultimo punto sarebbe interessante aprire un dibattito ed un confronto, per comprendere come vengono vissuti dei dirigenti che ultimamente hanno cominciato a lavorare sui “distinguo” rispetto a coloro che dovrebbero indirizzare e dirigere.
Quale politica dunque, di fronte alla gestione di una Professione che non è tecnica ma avrebbe la ambizione di risultare intellettuale.
Può una politica dal gusto del “doppio pesismo” riuscire a essere incisiva rispetto alle sfide che si presentano quotidianamente e sulle quali il dibattito interno non è solo spento ma azzerato?

Può una politica che è risultata prona sul potere esercitato da una persona, riuscire a emanciparsi al punto di ridurre quel potere per affermarsi come “universale” rispetto alla classe professionale che intende difendere?

Credo sia difficile che accada se la politica che si cerca di inseguire è quella della mediazione preventiva: sia media solo dopo aver deciso chi siamo, cosa vogliamo per noi. La sensazione è che la mediazione sia partita proprio dal comma 566, che al netto delle distrazioni culturali che si susseguono, ha il pessimo presagio di voler costringere l’infermiere ad un ruolo tecnico, lasciando alla presunta dirigenza quello intellettuale.
Su questo dovremmo discutere, partendo dalle sensibilità personali e mettendo sul campo tutta la partigiana convinzione che anima chi vuole davvero vedere evolvere la professione: sarà un compito arduo riuscire a trovare un comune accordo, ma senza lo scontro non lo troveremo mai.
Non è sufficiente riformare gli Ordini, bisogna riformare la cultura dell’appartenenza, senza quella tra qualche anno ci ritroveremo nelle stesse condizioni, se non peggio.

Piero Caramello

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