L’intelligenza artificiale sta cambiando radicalmente il volto della sanità, modificando in particolare il modo di operare dei medici. Rappresenta infatti un supporto importante nella pratica clinica, ma non può sostituire diagnosi, prescrizioni o consulenze, come ribadito anche dal recente aggiornamento delle linee guida di OpenAI. Se per i pazienti non esistono restrizioni particolari nell’uso di queste tecnologie, per i professionisti della salute la nuova legge italiana sull’intelligenza artificiale (Legge 132/2025), che integra il regolamento europeo AI ACT, stabilisce delle regole chiare.

Come può essere applicata l’intelligenza artificiale in medicina? Quali sono i limiti per i medici? A rispondere sono Elisa Stefanini e Laura Liguori, partner dello Studio legale Portolano Cavallo. Le avvocate spiegano che i medici possono adottare strumenti di intelligenza artificiale come supporto per diagnosi e cure, ma entro confini ben definiti: l’AI non può mai sostituire la decisione umana del medico, che resta l’unico decisore finale.
L’intelligenza artificiale può assistere il professionista nell’analisi dei dati, migliorare la prevenzione, favorire diagnosi precoci e ottimizzare le scelte terapeutiche. Senza dimenticare però che, laddove il medico si avvalga di software di AI come supporto alle proprie decisioni diagnostiche o terapeutiche, questi dovranno essere certificati come dispositivi medici e anche il fabbricante sarà responsabile del loro corretto funzionamento. Inoltre queste tecnologie avanzate contribuiscono a ridurre i costi e i tempi dei processi sanitari, aumentando l’efficienza complessiva del sistema e supportando la programmazione sanitaria.
Il nuovo decreto introduce anche l’obbligo di informare adeguatamente il paziente sull’uso di strumenti di intelligenza artificiale nel proprio percorso di cura e sul trattamento dei propri dati personali. Con riferimento alla ricerca e alla sperimentazione in ambito medico effettuata da soggetti pubblici o privati senza scopo di lucro, o anche da privati insieme ad essi, i trattamenti di dati sono considerati di interesse pubblico. Si supera così la centralità del consenso individuale per ogni utilizzo a fini di ricerca e sperimentazione, aprendo la strada a un utilizzo più fluido ed efficiente dei dati sanitari.
Inoltre i dati raccolti per altre finalità (ad esempio di diagnosi e cura) potranno essere utilizzati anche per addestrare algoritmi da impiegare in ambito medico, senza la necessità di un consenso specifico del paziente, ma sempre con l’obbligo di informativa preventiva. Accanto al tema della privacy, il decreto richiama poi la necessità di garantire l’affidabilità dei sistemi di intelligenza artificiale, riducendo i margini di errore e assicurando aggiornamenti costanti.
In caso di violazione della normativa la legge delega al governo la definizione di sanzioni specifiche, creando così un limbo normativo temporaneo. Tuttavia restano applicabili le norme già esistenti, ovvero il GDPR europeo e le regole italiane sulla cybersicurezza.
Redazione Nurse Times
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