La situazione che la sanità pubblica laziale sta attraversando da tempo originerebbe anche da un’errata gestione del personale.
Dall’analisi effettuata dal consigliere regionale Massimiliano Maselli, il 25% dei dipendenti ospedalieri avrebbe inabilità al lavoro.
In un pronto soccorso ci sarebbero due medici impossibilitati ad utilizzare il computer per ragioni di salute non possono usare il computer, mentre nelle corsie vi sono infermieri che non impossibilitati a sollevare i pesi, con tutte le conseguenze del caso. Molti non possono lavorare di notte, altrettanti non possono restare troppo a lungo in piedi.
Questi sarebbero solo alcuni degli esempi delle «limitazioni al lavoro» emerse tra i dipendenti con ridotta operatività in seguito ad una prescrizione medica.
Un dipendente su quattro ha delle limitazioni al lavoro, ma non solo. Anche l’età media degli operatori in servizio presso gli ospedali laziali sarebbe allarmante.
L’età media dei dipendenti sarebbe molto elevata, ben sopra i 50 anni. Pertanto in aggiunta alle disabilità dei dipendenti occorre aggiungere le patologie età correlate degli operatori considerati abili.
Non appare chiaro per quale motivo la percentuale emersa sia così differente da una Asl all’altra. In un ospedale i dipendenti con limitazioni sono il 5 per cento mentre in un altro il quaranta.
Secondo Maselli, andrebbe rivisto il sistema delle commissioni mediche di valutazioni, che nel Lazio sono organizzate a livello di Asl, seguendo l’esempio della Lombardia, dove c’è una commissione medica centrale regionale. Così facendo si eviterebbe una eccessiva vicinanza tra chi giudica e chi viene giudicato porti a certificati medici facili.
Il record di dipendenti con limitazioni spetta al Policlinico Umberto I. Sono il 42 per cento. In altri termini: su 4.333 dipendenti, quelli che hanno delle prescrizioni sono 1.687. Questa cifra comprende anche gli impiegati amministrativi.
Limitando l’attenzione solo a infermieri, ausiliari e medici il dato è però altrettanto alto: escludendo gli universitari, ci sono 517 medici, 1.123 infermieri e 94 ausiliari: totale 1.734. Di questi quelli con prescrizioni o limitazioni sono 175 medici e 524 infermieri, per un totale di 699. In pratica, tra gli infermieri uno su due non è a pieno servizio.
Altro ospedale: il San Camillo. Qui il numero dei dipendenti del comparto sanità (infermieri, medici e ausiliari) è di 2.416, quelli con limitazioni sono 444, circa il 18 per cento. All’Ospedale Sant’Andrea la percentuale è alta, siamo al 24 per cento, praticamente uno su quattro.
All’Asl Roma 2, nel suo complesso (comprende ospedali Pertini, Sant’Eugenio e Cto) siamo al 34 per cento, alla Roma 3 si raggiungere il 30 per cento. Poi, però, in altre azienda il dato diminuisce sensibilmente, secondo l’analisi svolta da Maselli: all’Asl Roma 1 risulta solo il 6 per cento del personale con limitazioni, nelle quattro province (Viterbo, Latina, Frosinone e Rieti) la situazione è migliore con percentuali che oscillano tra il 5 e il 13 per cento, quasi fisiologiche.
Basso anche il numero di dipendenti con limitazioni all’Ares 118 (agenzia regionale per l’emergenza sanitaria), dove solo l’8 per cento ha prescrizioni (ma è evidente che in caso contrario non potrebbe lavorare in prima linea sulle ambulanze), nell’azienda ospedaliera San Giovanni siamo al 6 per cento, al Policlinico Tor Vergata al 7 per cento.
«In sintesi – dice Massimiliano Maselli – qui nessuno vuole fare una caccia alle streghe, però il sistema va rivisto, prevedendo delle linee guida univoche e nuovi sistemi di verifica, in modo da eliminare le anomalie».
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