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Infermieri stranieri non iscritti all’Ordine, Bufalo (Opi Torino): “Servono più controlli”

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Infermieri in deroga, Bufalo (Opi Torino): "Servono più controlli"
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Ivan Bufalo, presidente di Opi Torino, dice la sua sugli infermieri che non sono iscritti a un Ordine ed esercitano grazie al Decreto Milleproroghe.

In Piemonte circa due infermieri ogni 100 non risultano attualmente iscritti agli Ordini delle professioni infermieristiche ed esercitano grazie al Milleproroghe. Sono quasi 600 – ma i numeri sono in crescita – gli infermieri in deroga che lavorano nelle strutture sanitarie piemontesi. Questo secondo gli ultimi dati ufficiali, richiesti dall’Opi Torino alla Regione, delle liste di personale sanitario che ha richiesto di validare un titolo estero per lavorare nelle strutture regionali.

«Tutto nasce nel 2020 con la legge 183 del 21 dicembre – ripercorre Ivan Bufalo, presidente di Opi Torino -. Si tratta del decreto Covid o Milleproroghe, che per la prima volta permette di aumentare la consistenza del personale sanitario, per fronteggiare l’emergenza covid reclutando personale in deroga».

Il Decreto, che sarebbe andato in scadenza con la fine dell’emergenza sanitaria, è stato prorogato ulteriormente fino al 2025, ma anziché dare respiro al sistema sanitario sta creando, secondo Bufalo, un danno ai professionisti iscritti agli Ordini e ai cittadini: «Anziché rispondere a un’emergenza, ne sta creando un’altra. La carenza di infermieri sta assumendo dimensioni drammatiche su tutto il territorio nazionale. Lo Stato attraverso il Decreto Bollette ha voluto dare risposta prolungando quanto introdotto dai Decreti Covid del 2020 consentendo alle strutture sanitarie di utilizzare “in deroga” fino al 31/12/2025 personale sanitario (infermieri, medici, ecc.) che ha conseguito il titolo in paesi esteri». 

Cosa prevede la legge? «Prima del Decreto – spiega Bufalo – la norma rendeva possibile l’esercizio delle professioni sanitarie in Italia, a quelli che hanno conseguito il titolo all’estero dopo la verifica da parte del ministero della Salute che il percorso didattico fosse conforme o semi conforme a quello italiano. Se non era conforme, il professionista era tenuto a sostenere degli esami per compensare. Ora è sufficiente che il richiedente presenti una copia autenticata del titolo conseguito all’estero e del certificato di iscrizione al corrispettivo del loro ordine professionale e lo presenti presso un ufficio regionale per vedersi automaticamente concessa la possibilità di poter esercitare la delicata professione sanitaria sul nostro territorio».

Il secondo punto riguarda l’esame di accertamento linguistico, che la deroga ha tolto. «Questo veniva svolto direttamente negli Ordini professionali ed era essenziale per garantire la corretta comunicazioni tra personale sanitario e paziente – sottolinea Bufalo -.  Se non sai comunicare col paziente, è un problema. Peggio ancora se non sai interpretare le prescrizioni e le informazioni condivise dall’equipe di cura».

Infine il terzo punto era l’obbligo di iscrizione all’Ordine professionale, anche questo non più necessario: «Non è meramente un problema di giustizia fra un professionista e l’altro, uno deve pagare la tassa e l’altro no, il punto vero è che attraverso l’iscrizione all’ordine professionale, l’ordine esercita sul professionista un controllo rispetto agli standard di qualità delle prestazioni rese e alla deontologia professionale, quindi alla visione etica riconosciuta in Italia, perché ovviamente il codice deontologico è diverso in ogni Paese».

Tre aspetti che con questa deroga vengono meno e mettono a rischio il lavoro del professionista e la salute del cittadino. «Ci sono altri due aspetti che non sono stati presi in considerazione: l’obbligo assicurativo del professionista e il versamento delle tasse – prosegue Bufalo -. Ogni esercente la professione sanitaria è obbligato a sottoscrivere una polizza assicurativa, ma se manca un’iscrizione a un ordine e una tracciabilità anche questo obbligo viene meno. Quindi si innesca un effetto domino senza pari. Come cittadini ci ritroviamo, senza saperlo, ad essere curati da persone che esercitano senza conoscere la lingua, sui quali nessuno può esercitare e applicare un controllo disciplinare sull’etica e la deontologia e in più, verosimilmente, senza assicurazione professionale e che non pagano le tasse per la professione che esercitano, con la possibilità di fomentare un’immigrazione che non ci sarebbe stata».

Il rischio diventa quello di innescare una sorta di “caporalato delle professioni sanitarie”: «Questa mancanza di controllo fomenta l’immigrazione di professionisti sanitari che danneggia la nostra sanità, i professionisti stessi e i Paesi da cui arrivano. Gli unici a beneficiarne sono i cosiddetti caporali, ovvero i gestori delle organizzazioni che reclutano ed impiegano personale dai Paesi in via di sviluppo, facendosi scudo di questa nuova norma probabilmente sottopagandoli e mettendo a rischio i pazienti».

Ostetriche che lavorano come infermieri, ex assistenti bagnanti certificati per un corso di primo soccorso. «Non sono esempi farlocchi, ma casi a cui ci siamo trovati di fronte. Soltanto il ministero è in grado di garantire che un certificato sia davvero equipollente a uno italiano e questa verifica non può essere esclusa. Io non dico che un infermieri algerino, cubano, finlandese sia meno bravo di un italiano, semplicemente non lo posso sapere perché in questo modo non c’è possibilità di verificare la corrispondenza degli studi. Quando parlo di lingua sto mettendo in discussione la sicurezza assistenziale, se c’è un problema di comunicazione tra paziente e infermiere, tra medico e infermiere è pacifico che possano esserci errori di cura».

La norma evidenzia anche una disparità di trattamento tra i professionisti italiani e i quelli stranieri: «Mettiamoci nei panni di chi ha fatto il percorso antecedente questa norma e a chi si è laureato in Italia. Non vi è lo stesso trattamento. Mettiamoci anche nei panni di un paziente che gioca alla roulette russa. Fino ad aprile, ovvero l’ultima volta che come Ordine abbiamo chiesto l’accesso agli elenchi regionali, gli infermieri che avevano fatto l’iter di equipollenza in Piemonte durante il periodo Covid erano 581, quelli delle professioni sanitarie in totale erano 684, con la proroga della norma, che bypassa i vari obblighi, i numeri aumenteranno in modo esponenziale».

Opi Torino sta cercando di limitare i danni, mettendo in atto dei meccanismi virtuosi: «Abbiamo cominciato a portare avanti delle interlocuzione in merito per permettere l’inserimento del personale infermieristico che arriva da altri Paesi con delle azioni di salvaguardia della professione e dei professionisti. Alcuni datori di lavoro mi hanno contattato per comprendere se fosse possibile innescare dei meccanismi virtuosi chiedendo la supervisione dell’Ordine sulle nuove assunzioni”

Conclude Bufalo: «L’auspicio è riuscire a creare un protocollo di intesa tra il privato, l’Ordine e l’Asl per la realizzazione di percorsi formativi riguardanti la lingua, la deontologia, la legislazione e la clinica in maniera propedeutica all’inserimento nel mondo del lavoro. Un progetto che non avrebbe un valore legale, ma rientrerebbe nelle buone pratiche per il miglioramento del sistema sanitario».

Redazione Nurse Times

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