Le continue assunzioni di ostetriche e infermieri originari di Paesi africani nel Regno Unito e in altri Stati europei sono “una nuova forma di colonialismo”. A denunciarlo, i partecipanti a un incontro internazionale di categoria che si è tenuto questo mese a Kigali, in Ruanda.
La protesta è stata raccontata anche dal giornale britannico The Guardian, che ha citato Howard Cotton, a capo del Consiglio internazionale degli infermieri. Secondo il responsabile, “i rappresentanti delle associazioni africane degli infermieri hanno denunciato che c’è rabbia per il fatto che i Paesi ad alto reddito stanno usando il loro potere economico per assumere la forza lavoro originaria di contesti più poveri e fragili”.
Sull’assunzione del personale medico esistono linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Le norme vietano in particolare di sottoscrivere contratti con professionisti originari di Paesi nella “lista rossa” dei più fragili, senza che siano stati prima firmati accordi quadro a livello di governo.
All’incontro di Kagali hanno preso parte rappresentanti di una quarantina di Paesi. Con loro anche Baboucarr Cham, presidente dell’Associazione nazionale degli infermieri del Gambia. Secondo il dottore, il trasferimento del personale sanitario più qualificato in Europa o negli Stati Uniti “sta creando molti problemi”. Cham ha fatto l’esempio di un ospedale della capitale Banjul, dove erano in servizio 300 infermieri, ma dove solo lo scorso anno in 53 hanno deciso di lasciare il Paese.
Secondo Cham, cliniche e ospedali degli Stati più ricchi offrono contratti soprattutto a professionisti con almeno due anni di esperienza post-laurea in un grande struttura. “Chi resta nel Paese d’origine – ha sottolineato il dottore – è costretto a occuparsi di un maggior numero di pazienti, si stanca ovviamente di più e alla fine i malati non ricevono cure di qualità”.
Redazione Nurse Times
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