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Infermiere & Demansionamento: la filosofia abbracci il diritto

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Che tipo di "prove" sono necessarie per dimostrare il danno da demansionamento?
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La FNOPI ha diffuso un importante posizionamento (VEDI) in tema di demansionamento, segno notevole del cambiamento in atto e dell’impegno di tutta la professione verso di esso

Sulla materia, già molto dibattuta, mi è sorta spontanea una piccola riflessione; essa concerne un passaggio assai significativo.

Si sostiene che il nostro “non può essere un ragionamento sull’atto ma un ragionamento sulla persona (…). Dobbiamo essere in grado di analizzare ogni singolo caso su cui manteniamo la responsabilità assistenziale, non  chiedendo all’organizzazione di “evitare” l’atto che noi riteniamo demansionante in quanto tale, ma chiedere di poter esprimere la nostra professionalità (in termini di strumenti, modelli e risorse umane) che andrà a definire dopo una nostra valutazione se quell’atto serva davvero, è opportuno che sia fatto da noi, è attribuibile.” [1]

Siamo responsabili di un processo, certo, e questo posizionamento è ovviamente conforme al DM 739/1994, il quale afferma che “l’infermiere partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività” e, quindi, fulcro della sua attività è l’essere umano globalmente inteso – non il singolo atto. Ma come ben sappiamo i professionisti attualmente:

  • non si occupano di identificare bisogni bensì di svolgere prestazioni; tutt’al più si occupano di compiti o di fare “giri”;
  • Questo comporta che essi, attualmente, si collocano in un panorama nel quale manca il riconoscimento del paziente stesso in qualità di persona: il malato viene introdotto e si muove all’interno del sistema per il tramite della malattia di cui soffre; l’assistenza è appendice della diagnosi medica.

Insomma, posto che una norma è tale proprio perché presenta carattere di generalità e astrattezza, e sta quindi ai cittadini la sua applicazione concreta, a più di vent’anni di distanza questo non è ancora avvenuto.

Le aziende ragionano in un’ottica di risparmio di risorse, di valutazione dell’operato dei vertici sulla base dell’economicità delle scelte intraprese.

Poca discrezionalità viene lasciata al singolo professionista, il quale non ha voce in capitolo circa le risorse messe a sua disposizione.

In altre parole, il professionista potrà pure ritenere che una determinata attività possa ben essere svolta dal personale di supporto ma se, per esempio, questo fosse mancante?

Se fosse presente in numero insufficiente – come effettivamente avviene?

Ecco che la risoluzione del problema, una volta calato nella quotidianità, richiede una grande riflessione comune perché, se di una determinata attività PUO’ benissimo occuparsene anche un infermiere, l’aumento del personale di supporto sarà sempre POSSIBILE, perfino AUSPICABILE, ma mai OBBLIGATORIO.

Chiedere di poter valutare se il singolo atto sulla singola persona (Mario, Francesco, etc) ci competa oppure no, se dobbiamo svolgerlo in prima persona oppure lasciarlo ad altri, potrebbe non essere sufficiente all’interno di un sistema nel quale non siamo noi, in realtà, a decidere – e chi decide lo fa spesso al risparmio.

Seguendo il filo logico, alla base di questo tipo di personalizzazione potrebbe anche darsi che alcuni giorni ci ritroviamo a svolgere la maggior parte degli atti relativi all’assistenza di base (vuoi perché è aumentata la presenza di pazienti complessi) mentre altri giorni abbiamo l’esigenza di attribuirli in quanto facilmente eseguibili dal personale di supporto ( a bassa discrezionalità e alta riproducibilità, così ci è stato insegnato).

Questo comporta certamente una grande flessibilità quotidiana. Flessibilità che non solo investe le singole mansioni (… ricordo che nell’ambito del diritto del lavoro così vengono chiamate), ma anche il numero di personale di volta in volta necessario …. ci dovremmo insomma muovere in un setting all’interno del quale un giorno potrebbero essere necessari due operatori di supporto mentre, il giorno dopo ( o perfino due ore dopo), tre.

Ciò, in un’ottica di quantificazione del personale basata su una valutazione della complessità assistenziale e non su antiquati minutaggi, può essere corretto, però di difficile attuazione proprio per il suo carattere elastico, quasi scivoloso. Non è possibile prevedere il numero di pazienti ricoverati di giorno in giorno, né la loro situazione clinica e i connessi bisogni – più o meno complessi – da soddisfare. Questo, attualmente, porta a quel “diamoci tutti una mano” che, però, non coinvolge alti professionisti sanitari al di fuori dell’infermiere …

E’ molto importante che si sia iniziato a parlare di demansionamento, che si sia abolito lo sgomento con cui taluni erano solito reagire al termine “mansione”; ricordiamo che, secondo l’art. 2103 c.c. “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.”

E’ necessario ricordare che il demansionamento costituisce una lesione della dignità e professionalità del lavoratore, che è una situazione di sconforto, stress e sofferenza.

Ultimamente è facile leggere sui social network contrapposizioni basate sull’accusa – a volte velata – di essere “dei filosofi” oppure “dei giuristi” della professione.

La domanda che ne potrebbe sorgere è: ma gli infermieri hanno maggiormente bisogno di diritto oppure di filosofia?

Innanzitutto, la questione è mal posta; chi infatti si trova a esprimere il proprio personale parere sulla normativa che regolamenta la professione infermieristica (es.: “il demansionamento non esiste”) sta facendo filosofia del diritto dei filosofi, cioè quella filosofia che “non è fatta da esperti di questioni giuridiche e spesso considera la filosofia come una sorta di super-scienza che guida il sapere umano.[2]

Certamente chiunque può e anzi deve interessarsi di questioni giuridiche, ma bisogna stare attenti. Bisogna evitare di cadere nella trappola di calare dall’alto sul diritto tesi filosofiche, di considerare la filosofia come superiore al diritto.

D’altronde, possiamo non essere d’accordo con chi sostiene che “il gesto dell’assumere responsabilità è, dunque, genuinamente giuridico e non etico” [3]– basando tale affermazione sull’origine giuridica del termine “responsabilità” (da spondeo, che indicava l’assumere un obbligo nei confronti di qualcun altro), ma è vero che, nel panorama moderno, all’interno del quale ciascun individuo è portatore di valori differenti e “l’incertezza dondola la culla della morale” [4], le norme giuridiche vengono a costituire dei punti fermi in base ai quali noi possiamo dire al cittadino: mi faccio garante per te, mi prenderò cura di te e dei tuoi bisogni di salute, non perché sono volenteroso o ho una speciale vocazione, ma perché sono un infermiere, e questo è il ruolo che mi viene attribuito all’interno del nostro ordinamento giuridico.

Allo stato attuale delle cose, quindi, solo la normativa “salva” l’infermiere moderno, tutelandolo per il tramite della definizione concreta – e non meramente teorica, non soggetta a disquisizioni, correnti di pensiero e mal di pancia – del proprio campo di attività e di responsabilità.

Allora se si deve fare una riflessione condivisa essa deve fiorire attorno al diritto e non “a dispetto del diritto” – laddove intendiamo non soltanto la legge ma anche la giurisprudenza, la quale riconosce nella figura dell’infermiere un attore sempre più rilevante e apprezzabile all’interno del panorama sanitario.

Questa riflessione, comunque, pare essere iniziata … il cammino va delineandosi, a noi in quanto professionisti impegnarci a discuterne insieme e a percorrerlo, sulla scorta di quanto esortava a fare Florence quando scriveva che l’infermiera deve essere “in continuo travaglio di intimo miglioramento” [5]: il travaglio non è solo intimo ma condiviso e così sia anche il miglioramento, che non deve riguardare poche isolate realtà ma la professione tutta.

 

Daniela Pasqua

 

Bibliografia

[1] https://www.fnopi.it/attualita/fnopi-ecco-le-linee-di-azione-della-federazione-sul-fenomeno-demansionamento-id2454.htm

[2] Claudio Luzzati, Questo non è un manuale. Percorsi di filosofia del diritto: 1, Giappichelli Editore, 2010

[3] Giorgio Agamben, Quel che resta di Auschwitz. L’archivio e il testimone, Bollati Boringhieri, 1998

[4] Zygmunt Bauman, Le sfide dell’etica, Feltrinelli 2018

[5] Florence Nightingale, Lettere alle infermiere, Roma, 1954, trad. CNAI

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