Il verdetto si riferisce al caso di Marco Cappato, che nel 2017 “aiutò” Dj Fabo a morire in Svizzera. Colmato un grave vuoto legislativo.
Un verdetto storico. È quello pronunciato dalla Corte Costituzionale, secondo la quale non è punibile “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. In poche parole, il suicidio assistito non è reato. A determinate condizioni, almeno. Una sentenza che suona come uno schiaffo al Parlamento, incapace di legiferare in merito, nonostante abbia avuto un anno di tempo.
La Consulta “ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente”. L’intervento “si è reso necessario per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, come già sottolineato nell’ordinanza 207 del 2018”. Infine: “Rispetto alle condotte già realizzate, il giudice valuterà la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate”.
La decisione fa riferimento al caso del radicale Marco Cappato (foto a destra), tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che il 27 febbraio 2017 si autodenunciò dopo aver accompagnato Fabiano Antoniani (foto a sinistra), conosciuto come Dj Fabo (rimasto cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale), in una clinica svizzera per il suicidio assistito. Finì allora sotto processo davanti alla Corte d’Assise di Milano, che nel 2018 investì della vicenda la Corte Costituzionale. Ma ora gli Ermellini hanno stabilito l’incostituzionalità dell’articolo 580 del Codice penale, che punisce allo stesso modo aiuto e istigazione al suicidio, con la reclusione fino a 12 anni.
Cappato dichiara: «Ho sempre detto che, se tornassi indietro, rifarei tutto. Sono contento che la Corte riconosca come un diritto ciò che io ho fatto, perché l’ho sentito come un dovere morale nei confronti di Fabiano e, in generale, di chi soffre». L’avvocato Filomena Gallo incalza: «Ero ottimista perché la normativa attuale è un vulnus costituzionale, e la dichiarazione di incostituzionalità era l’unica coerente con il rinvio stabilito dalla Corte con l’ordinanza dello scorso ottobre. Oggi facciamo sicuramente un grosso passo avanti nel rispetto della dignità di chi soffre».
Indignata, invece, la Chiesa. Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, si è sempre battuto contro la possibilità di aiutare qualcuno a morire: «Non è un nostro diritto, non può dipendere dalla nostra volontà. Ed è un vero peccato che il Parlamento non si sia impegnato a emanare una legge. Il Parlamento ha tristemente abdicato alla sua funzione legislativa e rinunciato a dibattere su una questione di assoluto rilievo».
Ovviamente contrario alla rivoluzionaria sentenza è anche l’avvocato dello Stato, Gabriella Palmieri, che durante l’udienza aveva ribadito: «Auspico che la Corte saprà coniugare la necessità di risolvere un caso doloroso come quello di Dj Fabo con la necessità di non elidere del tutto la possibilità di una disciplina generale in materia. Bisogna conciliare diverse situazioni, e quindi superare qualsiasi disciplina meramente casistica».
Redazione Nurse Times
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