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Il ruolo infermieristico in un istituto penitenziario

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Il ruolo infermieristico in un istituto penitenziario
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Da alcuni anni l’infermiere ha anche la possibilità di esercitare la propria professione in ambiti differenti da quello ospedaliero.

L’infermiere é presente in molte scuole, nelle grandi aziende, sulle navi da crociera. Di seguito sarà riportata un’intervista rilasciata da un collega che lavora in una realtà particolare assistendo persone detenute all’interno della casa circondariale di Marassi a Genova.

Come ha avuto inizio la tua attività lavorativa presso una casa circondariale?

Ho semplicemente risposto ad un annuncio apparso su internet nel quale una cooperativa privata ricercava un infermiere per un periodo di tempo determinato. Non avevo alcuna idea di quello che avrei dovuto fare all’interno di un carcere.

Ho dovuto sostenere alcune verifiche in merito al casellario giudiziario e fornire la documentazione riguardante la situazione dei miei carichi pendenti. Questa verifica viene effettuata per impedire l’accesso in carcere a soggetti pregiudicati o con indagini in corso.

Come si svolge l’attività infermieristica all’interno del carcere?

Ogni giornata ha inizio per i lavoratori con il passaggio attraverso le “due porte” del carcere di Marassi. Nella prima porta un’agente di polizia penitenziaria verifica che ogni persona abbia l’autorizzazione del direttore del carcere ad accedere. Dopo aver indossato la divisa nell’area intermedia alle “due porte” bisogna passare attraverso la seconda porta. Qui è necessario depositare il proprio cellulare ed ogni dispositivo elettronico per poter avere accesso all’area delle sezioni dove sono presenti i detenuti. Un agente di polizia penitenziaria registrerà l’orario di entrata e di uscita di ogni persona consegnando un cartellino riconoscitivo con foto, nome e qualifica professionale. Dopo aver ritirato il cartellino bisogna transitare sotto al metal detector posizionando sul rullo eventuali zaini o borse proprio come in aeroporto.

Una volta che l’agente presente in “Sala Regia” ha verificato che tutto sia in regola sarà dato il comando di apertura dell’ultimo cancello della “Seconda Porta”.

Il carcere di Marassi e suddiviso in diverse sezioni. Le sezioni sono veri e propri padiglioni dove le persone sono detenute. Vengono suddivise in base alla tipologia di crimine commesso. La I sezione raggruppa circa 300 detenuti in attesa di giudizio, la seconda sezione accoglie altri 300 detenuti comuni che sono già stati giudicati colpevoli in primo grado. Nella III sezione sono presenti i detenuti semi-liberi che escono di mattina per fare ritorno in carcere di sera. Nella IV sezione ha sede il centro clinico regionale ovvero un piccolo reparto ospedaliero dove, al piano terra vengono effettuate prestazione diagnostiche quali ecografie, RX, visite specialistiche neurologiche, cardiologiche, chirurgiche, dermatologiche e psichiatriche.
I detenuti dispongono di due dentisti che effettuano interventi di ogni genere all’interno di una sala operatoria adibita per la loro cura. Nei tre piani superiori sono presenti delle vere e proprie corsie ospedaliere nelle quali i detenuti più gravi sono suddivisi in base alla patologia.

La V sezione é molto particolare poiché accoglie detenuti con reati ostativi ovvero riguardanti attività mafiose e narcotraffico.

Questa sezione é l’unica classificata come sezione di “Alta Sicurezza”.
La differenza principale è data dal fatto che ogni detenuto appartenente a questa sezione che deve recarsi fuori dalla stessa deve essere guardato a vista da un agente qualora rimanga all’interno delle mura e scortato da sei agenti di polizia penitenziaria, dei quali uno armato di fucile mitragliatore, qualora abbia necessità di recarsi in ospedale o in tribunale.

La VI sezione era quella deputata ad accogliere i cosiddetti “Sex Offenders”, ovvero tutti i colpevoli di reati a sfondo sessuale. Principalmente erano presenti pedofili e colpevoli di stupri e molestie sessuali. Attualmente è diventata una sezione comune anche se molti detenuti condannati per reati sessuali sono ancora presenti.

Oltre alle sei sezioni sono presenti molte altre strutture che formano un vero e proprio micro mondo. Il carcere è dotato di aule scolastiche, campo da calcio, uffici degli avvocati, area dei colloqui con i parenti, una palestra per sezione, laboratori per la realizzazione di oggetti, una cucina nella quale vengono preparati i pasti, aule computer e perfino un panificio interno nel quale i detenuti realizzano prodotti da commercializzare nei supermercati.

Quale ruolo ricopre l’infermiere in questa organizzazione?

Ogni sezione dispone di un infermiere dedicato presente 24 ore al giorno. Nelle sezioni più affollate è presente anche un operatore socio sanitario. L’attività prevalente consiste nella preparazione della terapia farmacologica da somministrare a centinaia di detenuti ad orari prestabiliti. La terapia viene preparata precedentemente è disposta all’interno di bicchierini di plastica monouso riportanti il nominativo del detenuto. Il compito di apporre i nominativi sui bicchierini è affidato all’oss mentre l’infermiere deposita le compresse al loro interno.

Alcuni detenuti sono affetti da patologie croniche pertanto la seconda attività prevalente è la rilevazione dei parametri vitali quali pressione arteriosa e glicemia capillare.
Terminate queste due attività l’infermiere rimane a disposizione per gestire eventuali urgenze ed emergenze.
Nel turno di mattina potrebbero anche esserci alcuni prelievi ematici da effettuare ai detenuti per i quali sono stati programmati. Ogni giorno il medico di sezione visita i detenuti che, durante il giro di somministrazione svolto cella per cella da infermiere e agente di polizia penitenziaria, abbiano richiesto la visita.

Un infermiere segue il paziente/detenuto dal primo momento in cui arriva in carcere. Prima che venga assegnata una sezione ed una cella al detenuto il medico reperibile e l’infermiere dedicato ai “nuovi giunti” visitano la persona stabilendo se sia in grado di sostenere la detenzione carceraria. In questa fase vengono raccolti i dati anamnestici e fatte domande mirate ad ottenere informazioni in merito ad eventuali percosse o violente subite in fase di arresto o di interrogatorio. Successivamente viene effettuato un elettrocardiogramma, vengono rilevati i parametri vitali e vengono effettuati prelievi ematici ed esame delle urine.

L’infermiere gestisce anche le urgenze che possono verificarsi in sezione riguardanti i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria. In caso di necessità può contattare telefonicamente il medico reperibile per richiederne l’intervento.

La stragrande maggioranza delle urgenze viene gestita all’interno del carcere. Le persone detenute devono sottostare alle disposizioni del Magistrato di Sorveglianza per qualsiasi spostamento all’esterno della struttura carceraria pertanto solo in caso di imminente pericolo di vita del detenuto si procede all’ospedalizzazione dello stesso senza attendere il nulla osta del magistrato. In tal caso viene organizzata una scorta armata che accompagnerà il detenuto in ambulanza. L’organizzazione della scorta e l’attesa per l’autorizzazione che il direttore del carcere deve rilasciare possono richiedere molto tempo.

Oltre a dover interagire con medici e pazienti molto “particolari” è fondamentale riuscire ad andare d’accordo anche con gli agenti, gli assistenti, i brigadieri e gli ispettori di polizia penitenziaria presenti nella sezione. La figura dell’infermiere e quella dell’agente di polizia penitenziaria hanno davvero pochi aspetti comuni ma devo riconoscere che sono nate molte amicizie e anche molti amori sfociati anche in matrimoni duraturi.

Quali sono state le principali difficoltà riscontrate sul lavoro?

Molti detenuti extracomunitari, tossicodipendenti o affetti da patologie psichiatriche risultano essere di difficile gestione poiché é complicato comunicare con loro. Altri pazienti sono prevenuti nei confronti di tutti i professionisti che lavorano all’interno della casa circondariale ritenendosi incarcerati ingiustamente.

Con il passare del tempo insorge un rapporto confidenziale tra detenuto e infermiere e tra detenuto e agente di polizia penitenziaria che può risultare altrettanto pericoloso. Le persone recluse vengono private dei più elementari diritti non potendo fare più cose che per tutti noi sono la normalità.

Il rapporto di confidenza che può generarsi dopo anni di convivenza forzata all’interno della sezione porta il detenuto a chiedere “favori” all’infermiere o all’agente di polizia penitenziaria. Mi veniva chiesto spesso di procurare cataloghi dei negozi di vestiti e scarpe in modo tale che i detenuti potessero compilare un modulo denominato “domandina” per richiedere l’acquisto di prodotti per se stessi o per i parenti allegando la foto del capo di abbigliamento desiderato. Tutto questo non rappresenta un reato ma da modo agli agenti di polizia penitenziaria di pensare che, oltre a portare un catalogo, un infermiere sia in grado di portare armi, cellulari o droga all’interno delle sezioni come spesso è accaduto in passato.

Quali sono le problematiche più frequenti che riscontra la popolazione carceraria?

I pazienti che assisto in carcere si rivolgono frequentemente all’infermeria della sezione a causa di traumatismi riportati in palestra o sul campo da calcio. Le problematiche dermatologiche quali micosi e scabbia sono altrettanto frequenti. I detenuti affetti da patologie psichiatriche tendono ad autolesionarsi in svariati modi provocandosi anche ferite importanti. Molti tentano di suicidarsi impiccandosi o inalando il gas presente nel fornello situato nella cucina della loro cella.

Non dimenticherò mai quando fui chiamato in cella di un giovane detenuto albanese che si era lesionato volontariamente entrambe le arterie brachiali con un coltello da cucina. Erano presenti litri di sangue ormai versati sul pavimento della cella ed il detenuto minacciava gli agenti presenti rifiutando di essere medicato. Intervennero anche l’ispettore responsabile della sezione, il comandante del carcere ed il direttore sanitario senza però ottenere alcun risultato.

Solo io riuscii ad avvicinarlo proprio grazie al rapporto confidenziale che si era creato tra noi in seguito alla sua richiesta di avere due bustine di lievito di birra per fare la pizza. Permise solo il mio ingresso in cella facendosi posizionare due bendaggi emostatici e facendosi da me infondere liquidi per compensare l’enorme perdita ematica. Successivamente riuscimmo ad ospedalizzarlo salvandogli la vita.

Ho anche assistito a numerosi episodi di violenza nei confronti di detenuti presi di mira da parte di alcuni agenti di polizia penitenziaria particolarmente irascibili e a liti tra carcerati avvenute nei “passeggi” ovvero le aree dedicate allo svolgimento dell’ora di aria del mattino e del pomeriggio.
Il più delle volte i detenuti stessi rilasciano spontanea dichiarazione affermando di essere caduti nelle scale o sotto la doccia per rispettare il “codice di comportamento tra detenuti” e non essere giudicati degli “infami”.
Gli episodi di violenza si sono notevolmente ridotti grazie all’introduzione di telecamere di videosorveglianza presenti in ogni angolo della struttura.

Come hai reagito personalmente davanti ad episodi di violenza nei confronti dei pazienti detenuti?

Il più delle volte ho dovuto reagire con indifferenza. Non posso mettermi contro il sistema carcerario perché gli infermieri che hanno denunciato fatti simili accaduti sono tutti stati spinti ad andarsene o licenziati in seguito a rapporti avuti dalla polizia penitenziaria.

Eticamente sarebbe corretto denunciare tali comportamenti ma la realtà lavorativa nel quale ci troviamo non permette agli infermieri di rischiare di perdere il posto di lavoro considerata la crisi occupazionale attuale.

È evidente che in una realtà simile non sia presente il demansionamento istituzionalizzato che obbliga gli infermieri a svolgere mansioni domestico alberghiere nelle corsie di ospedale ma è altrettanto lampante che l’infermiere presente nelle realtà carcerarie sia sottoposto a pressioni di diverso genere. Nel complesso pare essere un’esperienza che valga la pena provare.

Redazione Nurse Times

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