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Il ruolo del caregiver nella gestione assistenziale

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Il caregiver burden: aspetti e riflessioni
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Tutto quello che c’è da sapere su “colui che si prende cura”

Introduzione

In Italia si sta assistendo ad un cambiamento demografico rilevante. A seguito della marcata riduzione della natalità ed il contemporaneo allungamento della vita, si è verificato un aumento dell’età media della popolazione. Dato ISTAT al 1° Gennaio 2017 riportava: gli individui di 65 anni e più superano i 13,5 milioni e rappresentano il 22,3% della popolazione totale; quelli di 80 anni e più sono 4,1 milioni, il 6,8% del totale, mentre gli ultranovantenni sono 727mila, l’1,2% del totale. Gli ultracentenari ammontano a 17mila.

L’invecchiamento della popolazione e l’alta incidenza di ultraottantenni, determinano un inevitabile aumento delle patologie cronico degenerative, come la demenza, con conseguente aumento della morbilità e della disabilità. La letteratura prova che la demenza è presente nel 4% dei soggetti sessantacinquenni, nell’8% dei settantenni e arriva a superare il 20% negli ultraottantenni. L’assistenza all’anziano affetto da patologie cronico degenerative è subordinata alla valutazione di molti problemi psico-fisici e sociali, che, se non rilevati, determinano dolore, polmoniti ab-ingestis, frattura di femore, disabilità e morte. In questi soggetti, in Italia, le prestazioni di cura avvengono principalmente all’interno delle famiglie.

Questo comporta che un membro della famiglia diventa “colui che si prende cura” del proprio famigliare, anche ai fini del soddisfacimento delle ADL. A causa di questa complessità assistenziale e della limitatezza delle risorse, il ruolo di “chi assiste” diventa indispensabile e centrale nel processo di cura, sia per il mantenimento delle potenzialità residue sia per la prevenzione delle complicanze.

Caregiver è un termine anglosassone entrato ormai stabilmente nell’uso comune che indica “Colui che si prende cura” e si riferisce a tutti i familiari, amici e persone con ruoli diversi che assistono la persona con patologie che non la rendono in grado di soddisfare i propri bisogni in modo autonomo. Il caregiver sta diventando una figura assistenziale sempre più in crescita nei paesi industrializzati.

Inizialmente l’attenzione si è focalizzata sul caregiver di soggetti con problemi cognitivi dovuti a malattie psichiatriche, successivamente l’interesse si è esteso anche all’osservazione dei bisogni delle famiglie con soggetti affetti da esiti di patologie neurologiche acute (stroke,TC) e con patologie cronico-degenetative (Alzheimer, Parkinson, SLA,SM) e dagli anni ’80 anche in ambito gerontologico ed oncologico. Le attività normalmente svolte dal caregiver nell’assistere persone non più in grado di svolgere le cosiddette “attività di vita quotidiana” possono essere suddivise in:

  • Basilari: alimentarsi, lavarsi, vestirsi, usare la toilette, muoversi in casa
  • Strumentali: utilizzare il telefono, fare acquisti, preparare il cibo, governare la casa, lavare la biancheria, assumere in modo appropriato medicinali e gestire il denaro.

Sempre più spesso, tuttavia, il caregiver è impegnato nel fornire prestazioni di carattere sanitario, per la prevenzione della sindrome da immobilizzazione, dei decubiti, della disidratazione e della stipsi. Accanto a queste prestazioni non è trascurabile anche la difficile gestione relazionale della persona affetta da disturbi mentali e comportamentali.

Gli impegni assistenziali del caregiver sono quindi gravosi e connotati da ampie differenze individuali, sia per quanto riguarda la gravosità, sia per la durata dell’ impegno richiesto.

In letteratura sono riportate numerose tipologie di Caregiver, in base alle competenze acquisite, classificate in:

  • Caregiver organizzativo: colui che si prende cura degli aspetti organizzativi ed economici della persona assistita;
  • Caregiver operativo : colui che fornisce prestazioni dirette e spesso di tipo sanitario.

È importante sottolineare che le due figure spesso possono coincidere in un’unica persona, più frequentemente un famigliare, e più persone possono rivestire i medesimi ruoli.

Un’altra classificazione riportata in letteratura suddivide i caregivers in base al ruolo ricoperto nei confronti della persona assistita:

  1. Caregiver informale : familiare, parente, amico che,in forma gratuita,si prende cura di un paziente. Questo tipo di caregiver può a sua volta essere suddiviso in:
  • Caregiver solitario: una sola persona svolge tutti i compiti assistenziali e si assume la responsabilità di tutte le scelte che coinvolgono la persona assistita;
  • Caregiver osservato: persona che svolge tutti i compiti assistenziali in piena autonomia ma con il supporto decisionale anche degli altri membri della famiglia; Condivisione di responsabilità: la famiglia suddivide tra i diversi membri i compiti assistenziali.
  1. Caregiver formale : Assistente domiciliare privato retribuito dalla famiglia.
  2. Caregiver istituzionale: professionista sanitario, sociale o amministratore di sostegno (figura giuridica della L 6/2004 a tutela del soggetto la cui capacità di agire risulti limitata o compromessa).

La figura del caregiver: normativa italiana e regionale

Tra i diritti fondamentali che un caregiver dovrebbe avere ci sono il diritto di informazione e quello di formazione. Occorre mettere a disposizione, contestualmente al manifestarsi del bisogno e alla decisione di “dare cura, una formazione immediatamente accessibile e personalizzabile in termini di contenuti che consenta da subito di accompagnare l’azione di cura. L’informazione e la formazione devono accompagnarsi alla crescita di mercato di servizi professionali a cui, a fronte del mutare del carico assistenziale e sanitario del familiare, il caregiver possa rivolgersi per acquisire le prestazioni e i servizi di cui necessita per azioni di sollievo, temporanee o rispondenti di necessità di long term care.

A livello europeo, c’è grande attenzione per questa tematica che rientra nelle politiche della U.E. per l’invecchiamento attivo, nelle politiche europee per l’occupazione e la solidarietà sociale e nelle politiche europee di genere. Ci sono inoltre importanti associazioni di rappresentanza come per esempio “Coface”, “Eurocarers”, “AGE Platform Europe”. Tra i documenti prodotti si ricorda, inoltre, “La Carta europea del Familiare caregiver”.

In Italia una delle prime leggi sul caregiver fu la Legge 328/00 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. In alcuni Decreti Ministeriali, è stato assunto il termine di caregiver familiare: Decreto ministeriale 11 novembre 2011 (GU 22 maggio 2012, n. 118), Decreto ministeriale 6 giugno 2012 (GU 20 giugno 2012, n. 142), Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 20 marzo 2013 (Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana 25 luglio

2013, n. 173). La Legge Regionale dell’Emilia Romagna 12 Marzo 2003, n.2 “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, ha introdotto un riconoscimento a livello sociale del ruolo del caregiver. Nel 2012 è intervenuta l’Assemblea Legislativa che impegna la Giunta ha realizzare specifiche attività per promuovere la sensibilizzazione, la consapevolezza e la valorizzazione del ruolo del caregiver anche a livello più generale, di comunità, di amministratori, di società civile, mondo produttivo.

Nel 2013 è stato depositato uno specifico Progetto di L.R. avente come oggetto: “Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare”.

In Italia, tuttavia, a differenza di altri Paesi europei, il caregiver non ha ancora una connotazione specifica all’interno del Servizio Sanitario Nazionale, anche se la sua presenza, sempre più diffusa, costituisce un importante elemento di sostenibilità economica nella gestione della cronicità e della disabilità. Il caregiver partecipa a pieno del “sistema dei servizi”, ma necessita di tutela da un punto di vista culturale, sociale e giuridico, per sostenere il suo difficile compito di assistenza a domicilio. Sulla base delle presenti premesse, la Sezione Lombardia della Società Italiana di Igiene Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) ha ritenuto opportuno e importante avviare una serie di iniziative coordinate al fine di valorizzare il caregiver familiare. Ha promosso quindi la sottoscrizione di un Manifesto per favorire:

  1. il riconoscimento sul piano culturale e sociale del caregiving, per raggiungere un’omogeneità di valutazione di questa funzione umana e assistenziale a livello nazionale. Si deve riconoscere il ruolo centrale della famiglia e, di conseguenza, modulare e articolare le risposte del servizio pubblico a sostegno di tale ruolo, non come una concessione, ma come un aspetto strategico per lo sviluppo civile e delle stesse persone fragili;
  2. il riconoscimento nelle politiche nazionali e locali della famiglia come componente del sistema dei servizi nel contesto dei progetti di intervento a favore delle singole persone, in modo che venga riconosciuto anche economicamente, nell’ambito del budget di cura, il ruolo del familiare caregiver;
  3. la definizione dei compiti e doveri dei caregiver, partendo da un progetto di cura condiviso, per le persone non autosufficienti di ogni età, sia che vivano a casa loro oppure in strutture di ricovero o in ospedali;
  4. la formulazione di proposte per il miglioramento dei servizi di supporto al paziente non autosufficiente che tengano conto delle indicazioni e dei bisogni del caregiver.
  5. la definizione dei diritti del caregiver fra i quali paiono irrinunciabili:
  • il diritto di scelta nell’assumere il ruolo e nel mantenerlo;
  • il diritto a risposte integrate da parte dei servizi che prevedano risposte articolate e flessibili, capaci di sostenere il ruolo del familiare caregiver anche attraverso la previsione di ricoveri temporanei e/o di sollievo;
  • il diritto all’informazione e formazione;
  • il diritto a un riconoscimento giuridico che permetta di conciliare i tempi di lavoro e di assistenza e che consenta benefici e facilitazioni sul piano assicurativo e pensionistico;
  • il diritto ad essere riconosciuto come soggetto attivo sia nella cura del familiare che nell’interlocuzione con i servizi e quindi coattore del piano assistenziale individualizzato;

Obiettivo

L’obiettivo del presente lavoro è quello di ricercare nella documentazione scientifica quale è il ruolo del caregiver nella gestione dell’utente con malattie cronico degenerative, sottolineando le difficoltà assistenziali affrontate da tale figura durante la sua attività.

Ipotesi di ricerca

L’implementazione del caregiver, a sostegno dei bisogni del paziente, quanto impatta sul miglioramento della qualità di vita del soggetto assistito?

Materiali e metodi

La presente revisione della letteratura è stata condotta utilizzando le principali banche dati biomediche quali di PubMed. Le Key words utilizzate per la ricerca sono state:

  • “Caregivers”,
  • “Cognitive Impairment”,
  • “Needs Assessment”,
  • “Quality of Life”,
  • “Dementia”.

Sono stati analizzati articoli in lingua inglese ed italiana degli ultimi 5 anni.

Risultati

Gli studi analizzati evidenziano la grande importanza della figura del caregiver nella gestione del paziente con patologie disabilitanti, compreso la persona con decadimento cognitivo. Il ruolo del caregiver è complesso e articolato, poiché non coinvolge solamente la tutela dei bisogni fisici, l’esigenza di continua sorveglianza nelle fasi intermedie e avanzate della malattia, di assistenza personale (igiene e cura della persona) e gestione della casa, ma anche la presa in carico della dimensione psichica, affettiva nonché sociale. Accanto a queste prestazioni non è trascurabile anche la difficile gestione relazionale. Gli impegni assistenziali assorbono molte energie e possono gravare sullo stato di salute del caregiver stesso.

Il ruolo del caregiver nella gestione assistenziale 1

Per affrontare questi problemi in letteratura vengono suggerite strategie attraverso:

  • formazione ed informazione adeguata;
  • supporto psicologico;
  • necessità di tempo libero quotidiano per la vita personale;
  • monitoraggio del proprie condizioni di stress attraverso l’autovalutazione con la scala “Caregiver Burden Inventory” (CBI);
  • attenersi ad un modello organizzativo con un infermiere “case manager”.

Al familiare è richiesta l’acquisizione di competenze nell’organizzare l’assistenza, nel prestare le cure anche con aspetti tecnici rilevanti e nell’interagire con il sistema sanitario e socioassistenziale. Il protrarsi dell’assistenza nel tempo, accompagnata da sofferenza, solitudine e fatica, determina sul piano psicologico conseguenze emotive spesso molto gravi, inducendo alla disperazione e provocando la rottura dell’equilibrio relazionale che ha portato alla scelta dell’assistenza a domicilio. Non è da sottovalutare l’impiego economico della famiglia, a causa della difficoltà nella conciliazione dei tempi lavoro e assistenza, che talvolta può determinare situazioni di riduzione del reddito e, in casi estremi, di povertà. Nonostante il ruolo essenziale svolto dalla famiglia nella gestione sia delle persone disabili che di quelle con malattie croniche non autosufficienti, l’attuale assetto sociosanitario non riconosce al familiare che assiste un ruolo definito, e quindi non attribuisce una posizione precisa agli attori coinvolti.

Esistono in letteratura alcuni validi strumenti di valutazione dello stress del caregiver, tra questi si riporta il  CAREGIVER BURDEN INVENTORY (CBI) (Novak M. e Guest C., Gerontologist, 29, 798-803, 1989). La CBI è uno strumento di valutazione del carico assistenziale in grado di analizzarne l’aspetto multidimensionale. E’ stato elaborato per i caregiver di pazienti affetti da malattia di Alzheimer e demenze correlate. E’ uno strumento self-report, compilato dal caregiver principale, ossia il familiare o l’operatore che maggiormente sostiene il carico dell’assistenza al malato. Al caregiver è richiesto di rispondere barrando la casella che più si avvicina alla sua condizione o impressione personale. E’ uno strumento di semplice comprensione e di rapida compilazione. Suddivisa in 5 sezioni, consente di valutare fattori diversi dello stress: carico oggettivo, carico psicologico, carico fisico, carico sociale e carico emotivo.

1 – il burden dipendente dal tempo richiesto dall’assistenza (item 1-5), che descrive il carico associato alla restrizione di tempo per il caregiver;

2 – il burden evolutivo (item 6-10), inteso come la percezione del caregiver di sentirsi escluso rispetto alle aspettative e alle opportunità dei propri coetanei;

3 – il burden fisico (item 11-14), che descrive le sensazioni di fatica cronica e problemi di salute somatica;

4 – il burden sociale (item 15-19), che descrive la percezione di un conflitto di ruolo;

5 – il burden emotivo (item 20-24), che descrive i sentimenti verso il paziente, che possono essere indotti da comportamenti imprevedibili e bizzarri.

La CBI permette di ottenere un profilo grafico del burden del caregiver nei diversi domini, per confrontare diversi soggetti e per osservare immediatamente le variazioni nel tempo del burden. I caregiver con lo stesso punteggio totale possono presentare diversi modelli di burden. Questi diversi profili sono rivolti ai diversi bisogni sociali e psicologici dei caregiver e rappresentano i differenti obiettivi di diversi metodi di intervento pianificati per dare sollievo agli specifici punti deboli specificati nel test. Le minori affidabilità del test si riscontrano a proposito del carico emotivo e sociale.

Conclusione

La prospettiva di un rapido incremento del numero di pazienti bisognosi di assistenza lascia prevedere che la forbice esistente tra le risorse necessarie per far fronte alle cure e la domanda di assistenza si allargherà sempre di più ed è proprio qui che la figura del caregiver presta servizio. Dai risultati del presente lavoro emerge che tale figura riveste un ruolo essenziale nel caring del paziente. Il ruolo di chi assiste un familiare è complesso e articolato in quanto non coinvolge soltanto la tutela dei bisogni fisici, l’esigenza di continua sorveglianza nelle fasi intermedia e finale della malattia, di assistenza personale (igiene e cura della persona) e gestione della casa, ma anche la presa in carico della dimensione psichica e sociale.

Nel caso delle malattie cronico-degenerative come le demenze, il grado di progressione della malattia stessa ha una relazione diretta sull’impegno richiesto dal caregiver e tale particolare è molto importante in quanto impatta significativamente sulla salute dello stesso caregiver. Tra le maggiori criticità emerse vi sono le carenze rispetto alla relazione con il personale sanitario e alla preparazione in vista della dimissione a domicilio del malato. Tali criticità devono essere superate per garantire che i caregivers possano svolgere il loro ruolo nel migliore dei modi.

Bisognerebbe quindi riconoscere ufficialmente la necessità di prendere in carico anche le esigenze dei caregiver dei pazienti, effettuando interventi educativi in itinere e prestando più attenzione ai processi di comunicazione, in termini sia quantitativi sia qualitativi, per evitare di peggiorare ulteriormente una situazione già di per sé traumatizzante a livello emotivo. Sarebbe inoltre necessario assicurare una maggiore continuità tra ospedale e territorio, potenziando i collegamenti tra i diversi servizi, e programmare follow-up per monitorare l’evoluzione dei bisogni dei caregivers rinforzando quanto da loro appreso durante la degenza ospedaliera del malato. Le problematiche della malattia influenzano negativamente la salute del caregiver e più ampiamente nella famiglia dell’assistito.

Gli interventi basati sull’evidenza scientifica sono il supporto psicologico al caregiver, le consulenze telefoniche con lo scopo di supportare attraverso l’ascolto attivo i problemi del caregiver e favorire la formazione di tale figura, in quanto opera in prima linea per soddisfare i bisogni del proprio assistito.

Dalla letteratura e dalle norme visionate emerge però che non c’è un vero e proprio riconoscimento giuridico che permetta di conciliare i tempi di lavoro del caregiver con i tempi di assistenza e che consenta agevolazioni/facilitazioni sul piano economico, assicurativo e pensionistico. Sarebbe fondamentale che le scelte politiche raccogliessero tale esigenze ai fini di un riconoscimento sul piano giuridico, culturale e sociale del caregiver.

 Morena Allovisio

 

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