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Il Covid-19 che non finisce: un viaggio nel reparto che riabilita i sopravvissuti

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Le cicatrici della fase più dura della pandemia di Covid-19 non sono ancora sparite, nonostante quanto sostengano i negazionisti ed i complottisti di vario genere. Nella città di Cremona, il 2% della popolazione locale ha contratto l’infezione. La negativizzazione dei pazienti però, non corrisponde sempre con la guarigione clinica completa.

Le conseguenze sono fisiche e psicologiche con difficoltà a camminare, perdita di capelli, dispnea, astenia, disturbi del sonno. Nell’ospedale della città lombarda maggiormente colpita, i sopravvisuti al Covid-19 sta facendo ritorno, richiamato dai medici per le visite di folllow up finalizzate al monitoraggio delle loro condizioni di salute durante una lotta non ancora terminata.

Riportiamo di seguito l’articolo pubblicato da Huffington Post:

“Siamo partiti l’11 maggio”, spiega all’Huffpost la dottoressa Patrizia Ruggeri, coordinatrice dei follow up a Cremona, “Ci siamo resi conto che questi pazienti dovevano essere seguiti. Abbiamo cominciato con chi aveva alle spalle una situazione più critica, che aveva richiesto l’intubazione”. Tra di loro c’è anche Giacomo Mancini, 58 anni fra pochi giorni: tre mesi in terapia intensiva, 30 chili persi. “Ero una roccia e sono diventato un lazzarone, neh”, ci racconta rammaricato, con un accento spiccatamente cremonese e una voce che non nasconde l’affanno. Conduceva una vita sana prima del virus, lavorava come operaio in un’acciaieria.


Ora ha bisogno delle stampelle per camminare e anche le operazioni più banali – come salire le scale o chiudere il baule della macchina – costano una fatica immensa, alle volte insostenibile. Giacomo è entrato in ospedale il 10 marzo, ne è uscito il 29 luglio. Tre mesi disteso nel letto hanno lasciato sull’osso sacro una piaga da decubito, prima larga 20 centimetri, ora ridotta a 6, ma ancora presente: “Nel mio polmone destro c’è un buco. Ho perso circa il 25% della capacità polmonare e non ritorna più”. Si appella alla pazienza, ne serve tanta per abituarsi a un nuovo corpo – “Non è più il mio, sento anche la voce cambiata” – incapace di sostenere gli sforzi di un tempo. “Non sono guarito per niente”, ci dice.

Il percorso del follow up di Cremona ha richiamato 300 pazienti, in un primo e un secondo controllo in cui si viene sottoposti a tutti gli accertamenti. Per il dottor Rosario Canino, direttore dell’Asst Cremona, “questi pazienti vanno studiati per vedere se il tessuto polmonare che è stato danneggiato ritorna normale o si configura una fibrosi polmonare. Dobbiamo capire quale evoluzione ci sarà. Dagli studi emerge che circa il 25% di malati ha sviluppato una fibrosi”.

L’approccio è multidisciplinare e vede coinvolte tutte le specialità. La dottoressa Ruggeri ce li elenca: pneumologo, internista, radiologi, infettivologi, fisiatri, cardiologi, neurologo, dermatologi, psicologici. Le figure richieste sono diverse, poiché diversi gli impatti causati dal virus. I dati sui pazienti sono ancora in fase di elaborazione, quel che è certo è che per molti di loro si tratterà di un percorso lungo. Don Franz, ad esempio, si sente ancora “a metà strada”.

Prete a Cremona, la parrocchia è ciò che più gli manca della vita pre covid, quando ancora non faticava per salire sull’altare a dire messa. Non ha recuperato totalmente odori e sapori, si muove con le stampelle. Per vestirsi ha bisogno di aiuto. “Quando posso arrivo”, rassicura i suoi fedeli che continuano a reclamarlo.

“Alcuni pazienti sono stati per lungo tempo in posizione prona”, dice la dottoressa Ruggeri, ricordando i primi controlli del follow up, “avevano quindi difficoltà nella deambulazione. Per questo si è resa necessaria una valutazione neurologica e fisiatrica. Alcuni hanno ancora bisogno di un sopporto respiratorio domiciliare”.

I pazienti sono felici di esser stati richiamati, non vengono abbandonati a loro stessi in un momento di smarrimento, dopo aver affrontato un virus mai visto prima. “E’ bello sentirsi seguiti”, dice Giovanni che ha perso il padre per il covid, prima di ammalarsi a sua volta ed è stato “ricontrollato da capo a piedi” dall’ospedale, con lastre e tac. Perché un altro aspetto importante sono “i bisogni psicologici di chi ha vissuto un trauma. Molti non riescono a dormire, rivivono quegli episodi. C’è un costante stato d’ansia”.

Fausto Tabaglio sa di cosa si tratta. Dal 16 marzo per 100 giorni non ha più visto la moglie, dopo essere stato ricoverato per polmonite bilaterale dovuta a covid. E’ entrato e uscito dalla terapia intensiva e “nessuno avrebbe scommesso un euro” sulla sua sopravvivenza. Trattato con il tocilizumab – quando ormai si parlava di accanimento terapeutico se si fosse deciso di intubarlo nuovamente – è iniziato improvvisamente a stare bene.

Mentre lui lottava tra la vita e la morte, il 3 aprile veniva alla luce Agnese, sua nipote. Ha potuto stringerla tra le braccia il 26 giugno, quasi quattro mesi dopo. In ospedale non si è mai reso conto di quanto abbia rischiato, la consapevolezza giunta in seguito gli ha lasciato addosso il terrore che tutto possa ricominciare e quindi ha difficoltà nell’addormentarsi, “anche se mi sento stanchissimo”.

Giacomo, Fausto, don Franz, Giovanni, sono rimasti sedati per la maggior parte del tempo, ma ricordano i tubi che uscivano dal corpo come una delle esperienze peggiori della loro vita. “Ho paura della seconda ondata”, “Non ci voglio tornare là”, “Se mi succede un’altra volta, io non la reggo”: ci confessano, prima ancora che noi poniamo una domanda in proposito, lanciando appelli di responsabilità a chi non indossa la mascherina. Cremona non ha dimenticato i giorni dell’emergenza dopo aver seppellito i suoi morti. E vedere il virus da vicino è stato traumatico allo stesso modo per i medici. Anche per questo l’ospedale si è attrezzato con i follow up. “Questo virus ha lasciato segni a livello psicologico e operativo”, ci dice il dottor Cimino, “Abbiamo perso colleghi. Ora stiamo molto attenti, ma siamo preparati. Anche a una seconda ondata”.

Dott. Simone Gussoni

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