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I consigli della dietista: come migliorare il menù negli ospedali

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I consigli della dietista: come migliorare il menù negli ospedali
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La dottoressa La Torre analizza i punti critici delle diete somministrate in clinica.

Come sappiamo, una buona alimentazione aiuta a prevenire e curare molte patologie, ma molto spesso ciò non accade nell’ambiente ospedaliero, dove i pazienti si ritrovano a dover combattere con un menù giornaliero contrastante con le loro necessità. Raccogliendo varie testimonianze e basandomi sulla mia esperienza in vari reparti e mense ospedaliere, ho ricavato i punti critici riguardanti le diete che vengono somministrate ai pazienti. Analizziamoli assieme:

  1. Gli orari. In ospedale, si sa, gli orari sono sempre stati troppo anticipati e improbabili. Basti pensare che una cena molte volte la servono intorno le 17:30-18:30, orario in cui solitamente un individuo fa lo spuntino del pomeriggio. Questo problema non è solo una questione di abitudini in cui il paziente molte volte si ritrova a dover modificare completamente i suoi stili di vita, ma è anche un problema fisiologico. Se la colazione la mattina viene data intorno alle 6:00-7:00, purtroppo mangiando a orari sempre più vicini fra loro, un ipotetico paziente “X” si ritroverebbe a dover cenare alle 18:00, accumulando ben 12- 13 ore di digiuno, che di certo non aiutano a migliorare l’umore del soggetto, già altamente stressato dalla patologia in corso e sicuramente non psicologicamente al meglio. Il digiuno prolungato abbassa la serotonina, iniziando a produrre il cortisolo, il così detto “ormone dello stress”, che a lungo andare porterebbe a una diminuzione delle difese immunitarie, aumento della pressione arteriosa e naturalmente insonnia come principali conseguenze.
  2. La considerazione per l’alimentazione in ospedale è molto bassa, sia a causa della mancanza di conoscenza del settore, che della mancanza di personale come dietisti nell’ambiente ospedaliero. Purtroppo, i numeri parlano, ci sono pochissimi dietisti in ospedale rispetto alle altre figure sanitarie, rendendo così difficile il lavoro, in quanto la mole di pazienti è elevata e le diete vengono generalizzate troppo per ottimizzare i tempi. Effettivamente, di diete specifiche ne esistono poche e quelle maggiormente utilizzate senza una distinzione specifica per le patologie sono sicuramente le diete ipoproteica e iposodica nei casi di pazienti con malattie cardiovascolari e renali. Per le restanti patologie molte volte la dieta non è appropriata e altre volte adattata grossolanamente. Ci dovrebbero essere più figure di dietisti in ogni reparto così da avere un’alimentazione adeguata in ogni settore e per ogni paziente.
  3. In un menù settimanale per paziente privo di patologia coronarica è presente troppa carne. Molte di queste diete settimanali prevedono anche due porzioni di carne al giorno, quantità altamente sconsigliata in quanto l’eccesso di carne potrebbe comportare un aumento di colesterolo, aumento pressione arteriosa a causa della presenza di nitrati, e naturalmente un eccesso di proteine, incriminate da più studi come le principali cause di condizione precancerosa a causa della presenza di nitrosamine o ammine eterocicliche. In questo caso si dovrebbero diminuire le porzioni di carne e preferire più alimenti con proteine vegetali come i legumi.
  4. Poca frutta e verdura. Il basso apporto idrico, la disidratazione e quindi la perdita di sali minerali è anche dovuta al basso apporto di frutta e verdura, oltre che a una mancata valutazione dello stato nutrizionale del paziente, specialmente se si trova in fasce d’età più fragili come bambini e adulti. Aumentare l’apporto di frutta e verdura incrementerebbe l’assunzione settimanale di vitamine, aiutando così il paziente ad aumentare le funzionalità del proprio organismo e migliorando soprattutto la sua condizione delle analisi ematiche, che molte volte risultano essere carenti di determinati sali minerali. Inoltre, aumentare l’apporto di questi alimenti favorirebbe un ripristino del microbiota intestinale grazie alla presenza di fibra alimentare che gli dona nutrimento, avendo come conseguenza una migliore difesa immunitaria, di certo molto utile in ambito ospedaliero dove solitamente l’ambiente è ricco di batteri patogeni.

Quindi, per concludere, il menù in ospedale è a tutti gli effetti parte della terapia del paziente ed è un pilastro fondamentale per aumentare la salute del soggetto. Richiede perciò molta più attenzione e considerazione.

 

Dott.ssa Maria Ester la Torre (dietista)

 

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