È successo dopo la morte di un 75enne che versava in condizioni critiche per un infarto. Secondo la tesi della Procura della Repubblica, l’operatore sanitario non monitorò adeguatamente il paziente.
Il signor Ferdinando Casanova, 75 anni, soffriva da diversi giorni di forti dolori al torace. Poi, nella notte tra il 5 e il 6 settembre del 2016, ebbe un infarto massivo ed entrò in coma. Morì alle 21:30 di sabato 9, dopo cinque giorni di agonia.
“Arresto cardiocircolatorio”. Così fu scritto nella cartella. E così fu detto anche ai suoi familiari, che però non accettarono il “verdetto” e incaricarono un legale di stilare un esposto, grazie al quale partirono le indagini per capire se ci fossero state responsabilità sulla dipartita dell’uomo.
Seguì l’autopsia, disposta dal sostituto procuratore Marcon ed eseguita dall’anatomopatologo Cirnelli, a cui si aggiunse una perizia da parte di un consulente esterno, depositata dalla famiglia. All’inizio furono alcuni medici a essere iscritti nel registro degli indagati. Ma il pubblico ministero, visto che non c’era nulla di penalmente rilevante a loro carico, chiese e ottenne l’archiviazione da parte del giudice per le indagini preliminari.
Venne quindi il turno dell’infermiere, che era incaricato di effettuare un monitoraggio il più possibile continuo sul signor Casanova, viste le sue condizioni critiche. Monitoraggio che, secondo la tesi della procura della Repubblica, fu inspiegabilmente interrotto dal professionista poco prima della morte del 75enne. Il gup ha infatti deciso per il processo, che avrà luogo a partire dal prossimo 19 maggio. Il collega, difeso dal legale Massimiliano Paniz, dovrà difendersi dall’accusa di omicidio colposo.
Al processo si si costituiranno parte civile i figli e i nipoti del pensionato deceduto e ci sarà una richiesta di risarcimento danni. Saranno ascoltati diversi testimoni, iniziando da quelli individuati dalla Procura, e poi la parola passerà a quelli della difesa. Le perizie presentate dai consulenti di parte avranno un ruolo cruciale.
Questo, come altri casi, dovrebbe far riflettere sulle reali responsabilità della figura infermieristica. E dovrebbe essere un buon incentivo per far desistere chi, senza segnalare, denunciare, protestare o provare a tutelare se stesso e la propria figura professionale, accetta condizioni di lavoro che rasentano la follia, in reparti dove magari un infermiere di turno si ritrova quotidianamente a dover assistere 55 pazienti col solo aiuto di un OSS (vedi un recente servizio de Le iene su Italia 1: “Morire d’incuria all’ospedale”).
Alessio Biondino
Fonte: Corriere Alpi
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