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Hiv, trovato il più antico genoma “quasi completo”

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Hiv, trovato il più antico genoma "quasi completo"
Pharmacist Michael Witte wears heavy gloves as he opens a frozen package of the potential vaccine for COVID-19, the disease caused by the new coronavirus, on the first day of a first-stage safety study clinical trial, Monday, March 16, 2020, at the Kaiser Permanente Washington Health Research Institute in Seattle. (AP Photo/Ted S. Warren)
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E’ il risultato di uno studio condotto dagli esperti dell’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio.

Il più antico genoma dell’Hiv “quasi completo” è stato trovato in un campione di tessuto del 1966, 17 anni prime rispetto alla scoperta del virus, avvenuta nel 1983. Sono i risultati di uno studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of National Academy of Sciences e condotto dagli esperti dell’Università Cattolica di Lovanio (KU Leuven), in Belgio, che hanno analizzato un campione di tessuto proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo, prelevato nel 1966.

“L’Hiv, o virus dell’immunodeficienza umana, è il virus che provoca l’Aids, ed è stato ufficialmente scoperto nel 1983. Ritrovamenti come questo, che risale a una data precedente all’individuazione del morbo, possono essere utili a individuare i tempi e le modalità con cui si sono verificate le mutazioni genetiche nel virus, che potrebbero aiutare gli scienziati a capire come sia avvenuta la trasmissione dell’Hiv nell’uomo”. Così Sophie Gryseels, virologa computazionale presso la KU Leuven, descrivendo la nuova sequenza genetica come “molto confortante”.

“Questa sequenza si adatta bene alla precedente comprensione dei ricercatori sullo sviluppo dell’Hiv. L’ipotesi attualmente più accreditata infatti sostiene che il morbo sia stato trasmesso all’uomo dagli scimpanzè dell’Africa centrale verso i primi anni del 1900. I ceppi del virus sono diversi, ma sappiamo che il 95 per cento dei casi in tutto il mondo dipendono da quello noto come gruppo M dell’Hiv-1”, prosegue la ricercatrice, aggiungendo che sono oltre 32 milioni le vittime dell’Aids dall’inizio della diffusione della malattia.

“I modelli matematici non sono ancora completi e non ci aiutano a capire come sia avvenuta la trasmissione e soprattutto le motivazioni di un tasso di contagio così elevato da provocare una vera e propria pandemia globale. Parte di questo problema dipende dal fatto che i modelli efficaci che calcolano il tasso di cambiamento virale nel breve periodo diventano obsoleti e meno affidabili nel lungo termine”, osserva Gryseels, precisando che è proprio la mutazione del virus l’elemento imprevedibile e difficile da rintracciare.

“Per questo motivo scoprire un vecchio ceppo virale è un po’ come trovare il pezzo mancante di un puzzle, aiuta a comprendere i cambiamenti evolutivi del morbo”, continua l’esperta, che ha collaborato ad uno studio internazionale che e ha visto la partecipazione di ricercatori provenienti dall’Università dell’Arizona, del Belgio, degli Stati Uniti e della Repubblica Democratica del Congo.

Il team ha analizzato 1.645 campioni raccolti in Africa centrale tra il 1958 e il 1966 allo scopo di diagnosticare le condizioni mediche e rintracciare genomi dell’Hiv. “Abbiamo trovato un solo caso in un tessuto appartenente a un uomo di 38 anni che presentava una sequenza quasi completa del virus. Esistono frammenti del 1959 e del 1960, che sono ancora meno recenti, ma questo è sicuramente più completo e potrebbe offrire informazioni preziose sulle mutazioni del virus”, afferma Michael Worobey dell’Università dell’Arizona.

“Cercheremo ulteriori campioni per verificare le nostre teorie e capire come i cambiamenti nel genoma dell’Hiv lo abbiano reso più pericoloso. E’ probabile però che la contagiosità del virus sia dovuta in parte anche ai cambiamenti della società, come l’urbanizzazione, le campagne di sanità pubblica che non sottolineavano l’importanza di sterilizzare gli aghi, o la decolonizzazione”, ipotizza ancora Gryseels. “Se avremo un’idea migliore della linea temporale di quando si è verificata la diffusione del virus, potremo comprendere meglio l’influenza di tutti i vari fattori e magari trovare un modo per prevenire i contagi”, concludono i ricercatori.

Redazione Nurse Times

Fonte: la Repubblica

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