“Se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide”, così recitava lo slogan di una campagna di prevenzione dell’Hiv, realizzata nel nostro Paese dalla Fondazione Pubblicità Progresso, nel 1989. Nel corso degli anni è cambiato il modo di rappresentare l’Aids negli spot pubblicitari, preferendo puntare su elementi positivi e sulla protezione e le nuove cure, anziché su messaggi minacciosi. Cambiamenti che sono stati specchio fedele di un mutato sentire nei confronti dei sieropositivi e della percezione della malattia. Ma con il passare degli anni l’attenzione verso questa sindrome è andata scemando, tanto da determinare un leggero aumento del numero di ammalati di Aids rispetto agli anni precedenti.
E’ di questi giorni la pubblicazione dei risultati di un indagine commissionata dal Network delle persone sieropositive (NPS Italia Onlus) e condotta dalla società di ricerche demoscopiche SWG, sul livello di informazione sull’Hiv/Aids e su come i mass media trattano l’argomento.
Il campione di mille persone è stato stratificato secondo quattro parametri: età, genere, luogo e ampiezza del comune di residenza.
“Abbiamo commissionato questa ricerca – dice Rosaria Iardino, Presidente onorario di Nps Italia Onlus – proprio perché alcuni recenti fatti di cronaca, letti sui giornali, ci hanno portato a pensare che forse il livello di conoscenza degli italiani sull’Aids non era così avanzato come ci aspettavamo. Sono passati tantissimi anni dalla scoperta della malattia ad Atlanta nel 1981 ed altrettanti dall’ingresso della stessa nel nostro Paese, ma leggere di recente sui giornali di ‘untori’ e ancora dello stigma da riservare alle persone con Hiv, è stato desolante e chi ha spinto a monitorare scientificamente i livelli di disinformazione degli italiani”.
“Ciò che preoccupa – termina Rosaria Iardino – è il livello di scarsa conoscenza che denunciano le fasce giovani di intervistati, che statisticamente rappresentano quelle più a rischio contagio. Tutto questo dimostra che a livello di prevenzione, e comunicazione, sul tema Aids/Hiv bisogna fare ancora molto”.
“Bisogna prima di tutto intervenire contro lo stigma che ancora riguarda le persone con HIV – dice Margherita Errico, Presidente di Nps Italia Onlus – additati come potenziali ‘pericoli sociali’, come conferma certa terminologia e certo gergo usato in alcuni articoli di cronaca. Tutto ciò rischia di inficiare quanto fatto in questi anni; rischia di mettere in forse le conquiste avute sul piano del welfare, perché una paura irrazionale ed ingiustificabile potrebbe tornare a discriminare chi è positivo al virus dell’HIV. Ecco perché di recente abbiamo presentato un esposto all’Ordine nazionale dei giornalisti per denunciare un modo sbagliato di far cronaca sulla malattia”.
“In ogni modo l’indagine Swg – termina Margherita Errico – fa pensare che la causa principale di questa cattiva informazione, sia la scarsa conoscenza che si continua ad avere dell’infezione e delle vita quotidiana e concreta delle persone con Hiv verso la quale ultime domande evidenziano degli immaginari anacronistici. Le istituzioni quindi devono intervenire, potenziando quei progetti che nascono per tenere alta la guardia contro l’Aids e per diffondere la corretta conoscenza dei rischi ancora presenti della malattia”.
Quello che emerge dall’indagine, condotta con l’obiettivo di verificare dunque, quanto le persone sanno sull’Aids/Hiv e su come vengono fornite le informazioni sul tema da parte dei mass media, è che gli Italiani (ben il 70%) sono piuttosto soddisfatti sul loro livello d’informazione. Tuttavia solo la metà degli intervistati ha saputo rispondere alla domanda su cosa sia l’Hiv, dato ancora più preoccupante il fatto che la metà dei giovani tra i 25 e i 34 anni (i più direttamente interessati al contagio sessuale) abbiano risposto correttamente alla domanda su come si trasmette la patologia. Evidentemente il calo di attenzione per una malattia subdola come l’Hiv ha cominciato a dare i suoi frutti avvelenati.
La disinformazione o la mancata informazione, può avere serie ripercussioni soprattutto fra i giovani, i quali ritengono che solo nel 37% dei casi la malattia sia curabile e che l’avere una bassa carica virale nel 28% dei casi voglia dire non essere infettivi. Unica nota positiva per gli under 35 è la minore propensione a ritenere vere le informazioni riportate da web e televisioni.
E’ stato indagato anche il modo in cui l’Aids/Hiv viene veicolato dai mezzi di comunicazione, i quali hanno abdicato alla loro funzione educativa e divulgativa, puntuale ed equilibrata, per far posto ad una sempre crescente spettacolarizzazione della malattia evidenziando l’aspetto scandalistico e allarmistico dei fatti di cronaca, circa il ruolo di untori di alcuni ammalati, che hanno riportato alla luce vecchi pregiudizi e stereotipi legati al genere (omosessualità) e/o alla tossicodipendenza.
E proprio l’attenzione morbosa dei mass media nei confronti di queste notizie che fa pensare, soprattutto ai più giovani di poter essere rifiutati sentimentalmente e sessualmente nel 61% dei casi e denigrati nel 40% dei casi. Alta per finire pure la percentuale di chi teme (40%) che possano essere diffuse notizie sul proprio stato di salute.
Emerge da quest’indagine dunque, uno spaccato poco rassicurante di ciò che è l’informazione oggi a proposito di Aids/Hiv e di quanto persista una forma di stigmatizzazione che è direttamente proporzionale alla scarsa attenzione sul tema della prevenzione della malattia in questi ultimi anni. Emerge inoltre il ruolo non più educativo dei mezzi di comunicazione di massa che trattano sempre più in maniera superficiale l’argomento.
“Aids se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide”, un vecchio slogan quanto mai attuale che dovrebbe spingere coloro che ne hanno i mezzi, gli operatori sanitari in primis, a spendersi per nuove campagne di sensibilizzazione soprattutto nelle scuole e tra i più giovani perché questa malattia non torni davvero a far paura.
Rosaria Palermo
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