“Parlano di 500 lavoratori a fronte di una carezza di almeno 9mila: non è una soluzione, anzi. Se guardiamo all’esperienza di Varese a cui l’assessore Bertolaso dice di ispirarsi, dobbiamo ricordare che l’inserimento di questi professionisti non è né automatico né immediato. A Varese prima hanno dovuto imparare l’italiano, che soprattutto per un madrelingua spagnolo non è semplice, date quelle parole definite ‘amiche’, che sembrano simili, ma hanno significati differenti”. Così Aurelio Filippini, presidente di Opi Varese, commenta per VareseNews.it la scelta di Guido Bertolaso, assessore al Welfare della Regione Lombardia, di reclutare infermieri in Sud America.
“Questi infermieri, poi, lavorano in un sistema sanitario completamente diverso dal nostro: per l’inserimento hanno bisogno di un tutor che gli stia sempre vicino – prosegue Filippini -. Così abbiamo fatto all’ospedale di Varese: ciascuno degli 11 infermieri arrivati a inizio anno è stato affiancato da un tutor. Abbiamo individuato colleghi che sapessero lo spagnolo in modo da favorire la comprensione con i medici e con i pazienti. Non è un’operazione semplice e non è sicuramente a breve termibe. Credo che solo a maggio un paio di questi infermieri arrivati a gennaio potrà entrare nei turni in modo autonomo. E’ un lavoro complesso, lungo e impegnativo per avere sollievo solo in un paio di turni”.
I risultati dell’inserimento di infermieri stranieri nell’Asst Sette Laghi, frutto anche dei canali attivati dal prefetto di Varese per accelerare le pratiche burocratiche, sono stati presentati il mese scorso è hanno evidenziato alcune criticità. Su tutte, la distanza, la lingua e una cultura differente.
“Dispiace soprattutto la mancanza di attenzioni o di progettualità verso gli infermieri italiani – dice Filippini –. Da tempo chiediamo misure di welfare a sostegno di chi lavora in corsia per contrastare la fuga verso gli ospedali del Canton Ticino. Si è parlato di misure per far rientrare i medici dall’estero, ma nulla si dice degli infermieri. È come se la sostituzione del personale italiano con quello di Paesi del Sud America sia l’unica soluzione. Eppure, formare un infermiere nel percorso accademico ha un costo sociale: possibile che non si valuti l’importanza di quell’investimento?”.
Gli Ordini degli infermieri di Varese e di Como hanno presentato un elenco di possibili benefit da concedere a chi sceglie di rimanere negli ospedali delle zone di confine, anziché andare a lavorare in quelli svizzeri: bonus benzina, agevolazioni sulla casa, sostegno per i nidi. “Ma non abbiamo mai ottenuto una risposta za tali proposte – lamenta Filippini –. Il prossimo 11 aprile abbiamo un nuovo incontro con la direzione Welfare regionale, ma temo che non sarà un incontro risolutivo”.
Sempre Filippini: “Far arrivare personale da Paesi stranieri non è nemmeno una novità: abbiamo già vissuto esperienze simili alla fine del secolo scorso. Ma anche quella volta la soluzione arrivò dal riconoscimenti di un benefit ai giovani italiani in formazione: fu concessa una borsa regionale agli studenti dei corsi infermieristici e si verificò un boom di adesioni”.
In definitiva, secondo Filippini, piuttosto che importare infermieri stranieri sarebbe importante valorizzare quelli italiani: “Gli interventi messi in campo non sono stati concordati con gli operatori, con chi lavora sul campo. Il reclutamento in Sud America, se anche permetterà di reperire 500 infermieri, non darà soluzioni né veloci né facili”.
Redazione Nurse Times
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