…di Sabina Gulino
BACKGROUND
Croce e delizia di ogni infermiere, l’accesso venoso (AV) è spesso tra le prime procedure, se non la prima, che si effettua, in ambito ospedaliero.
La maggior parte dei pazienti ricoverati presso gli ospedali necessita di un dispositivo venoso periferico; utile per la somministrazione di fluidi biologici, farmaci o mezzo di contrasto e per eseguire indagini radiografiche.
Nonostante la frequenza di posizionamento, presso il dipartimento d’Emergenza (ED) l’incidenza di successo al primo inserimento di tale dispositivo negli adulti varia tra 18% ed il 79%.
L’incannulamento venoso periferico è una delle procedure tecniche più comuni in medicina d’emergenza e può risultare impegnativa, anche a personale esperto.
Le veni-punture eseguite in breve tempo con esito positivo sono considerate dal paziente con un alto grado di soddisfazione e una percezione positiva che interviene sull’esperienza delle complessive cure.
La letteratura internazionale e nazionale lo ha più volte definito come difficile a seguito di 2 tentativi falliti; sostenendo che la difficoltà dell’incannulamento può essere dovuta a molti fattori come la razza, l’invecchiamento e la comorbilità dei pazienti, l’esperienza del personale sanitario, il calibro della cannula e il sito d’inserzione. Tuttavia, è stata data poca attenzione alle condizioni cliniche ed ai fattori di rischio della persona che compromettono il patrimonio venoso rendendo difficoltoso l’incannulamento periferico.
OBIETTIVO
Lo scopo di questo studio è quello di indagare, attraverso la revisione della letteratura, se vi sono dei fattori di rischio della persona che ne compromettano il patrimonio venoso; causando difficoltà nel reperire l’accesso venoso periferico (PVA).
METODO
E’ stata condotta una revisione della letteratura seguendo il metodo della revisione sistematica (CRD 2009).
La ricerca è stata condotta nelle principali Banche Dati Biomediche PubMed, Cinahl, Scopus, Cochrane Library.
Sono state usate le parole chiave “peripheral catheterization”,”risk assessment”,”risk factors”,”difficult access venous”,”complications”,”difficult venous access”,”peripheral catheterization”,”difficult venous access”,”diseases”,”difficult venous access”,”difficult vascular access”,”comorbility”.
I risultati sono stati limitati agli ultimi 10 anni, includendo studi focalizzati sulla difficoltà nel reperire un accesso venoso periferico, ed infine la valutazione delle conoscenze e delle attitudini rispetto a tale tematica.
RISULTATI
L’impatto della difficoltà di accesso venoso periferico rimane variabile a seconda del contesto (reparti ospedalieri, sale operatorie, emergenza) e dal tipo di popolazione (bambini, adulti); ovvero nei bambini ha una frequenza compresa tra 25-56%, negli adulti è tra il 10-40% presso i dipartimenti d’emergenze, rispetto al 9-56% totale (bambini/adulti) presso gli altri reparti ospedalieri.
La ricerca di fattori predittivi di questa difficoltà sembra necessaria per l’ottimizzazione del capitale venoso.
Questi fattori possono essere correlati al paziente (la storia, il trattamento), ai dispositivi o all’operatore che pratica il cateterismo venoso.
L’esperienza dell’operatore (l’incannulazione venosa da parte di un operatore sanitario di emergenza è stata associata ad un aumento del tasso di successo), la scelta del sito di puntura e la dimensione del catetere (i cateteri di calibro IV più piccoli sono stati più comunemente associati con l’insuccesso all’incannulazione), potrebbe ridurre il tasso di fallimento nell’inserimento dell’accesso venoso periferico. Sebbene logico, questo rapporto tra esperienza dell’operatore e il successo di un accesso venoso rimane controverso in letteratura, a causa della presenza di opinioni contrastanti.
Nel classificare i pazienti con un accesso difficile, la visibilità e/o palpabilità della vena anche se importanti risultano meno rilevanti rispetto ai due o più tentativi di puntura. L’utilizzo di strumenti speciali come gli ultrasuoni o simili, permettono di individuare il vaso venoso e quindi facilitare l’inserimento dell’accesso venoso periferico. Le condizioni di salute associate, come l’obesità, la storia di uso frequente di farmaci IV, le malattie croniche, ipovolemia, l’abuso di droghe IV e la vascolopatia rendono difficoltoso l’accesso venoso (DVA).
L’obesità, è risultata una variabile non significativamente associata con il difficile accesso; tuttavia, la sua rilevanza clinica dovrebbe essere valutata, dato che il conseguente aumento del tessuto sottocutaneo rende più difficile la visibilità delle vene.
Il numero di posizionamenti precedenti di dispositivi endovenosi, flebiti, infiltrazioni o ematomi sono stati considerati anch’essi, potenziali fattori di rischio. L’altro risultato importante è l’edema degli arti superiori, suggerendo la relazione tra la concentrazione e la distribuzione del tessuto sottocutaneo sulle braccia del paziente.
Altri parametri possono essere coinvolti nella difficoltà dell’accesso venoso come l’ago-fobia, l’ansia, l’agitazione dei pazienti, il colore scuro della pelle, tatuaggi o la tintura all’hennè.
Tabella associativa causa/effetto
CAUSA | EFFETTO |
SESSO | studi hanno collegato il sesso femminile a più alti tassi di flebite e ad un minor numero di tentativi riusciti di posizionare i dispositivi per via endovenosa nei vasi sanguigni periferici. Inoltre, le donne tendono ad essere più colpite da malattie osteoarticolari, associata al rischio di difficile accesso venoso |
ETA’ | gli individui più anziani subiscono un cambiamento anatomico del sistema vascolare tipico dell’invecchiamento e di conseguenza divenendo più debole |
CHEMIOTERAPIA | responsabile di iper-pigmentazione, siccità e desquamazione della pelle rendendo localmente difficile e fragili le vene |
DIABETE | associazione tra un maggior rischio di flebiti, c’è una associazione significativa con il diabete per i frequenti prelievi ematici che potrebbero causare alterazioni morfologiche alle vene |
L’ABUSO DI DROGHE | determinano cicatrici e stenosi |
STORIA DI TRATTAMENTO CON ANTICOAGULANTI O CORTICOSTEROIDI | i pazienti trattati con questi farmaci spesso richiedono terapia endovenosa lunga e ripetuta e quindi più inserimenti di cateteri per via endovenosa |
I PAZIENTI SOTTOPESO (BMI <18,5 KG/M2) | maggiore mobilità della vena. Uno strato sottile di tessuto adiposo può essere responsabile di una maggiore mobilità della vena nei pazienti sottopeso, ed altre caratteristiche come la vasocostrizione o la fragilità della vena possono essere coinvolte. |
CONCLUSIONI
Nonostante i diversi fattori di rischio della persona che rappresentano un ostacolo al reperimento dell’AV, sono di fondamentale importanza la valutazione clinica del patrimonio venoso, l’utilizzo dell’eco-guida durante l’incannulazione periferica, ma anche la formazione dell’operatore.
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