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Farmaci e inappropriatezza: un approccio infermieristico pro-attivo

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Tritare o dividere le compresse è dannoso per la salute
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In tempi di tagli e razionalizzazione del Sistema, da più parti si alzano voci di richiesta di risparmio attraverso l’appropriatezza prescrittiva.

Uno dei capitoli di spesa più ingenti per il Servizio Sanitario è senza dubbio la spesa farmaceutica, che anche nel corso del 2015 ha visto un tendenziale trend di aumento (sia ospedaliera che territoriale) a livello nazionale, con una disomogeneità dei Servizi Regionali, dove troviamo Regioni più o meno virtuose.

Alcuni dati, rispetto agli stessi periodi del 2014, inducono a pensare che non sembra esserci una capacità di razionalizzare la prescrizione di farmaci, sempre considerando la situazione generale dello stato di salute degli Italiani.

In questo quadro ben si sposano due recenti articoli pubblicati sul sito www.evidence.it da parte della Fondazione Gimbe sulla prescrizione dei farmaci al paziente anziano.

Siamo davvero sicuri che l’attuale approccio alla gestione del paziente anziano sia evidence-based? Quanto costa in termini di risorse non tenere conto delle evidenze scientifiche?

Fondazione Gimbe, attraverso il suo Presidente il Dr. Nino Cartebellotta, nel 2013 evidenziava alcune incongruenze nell’approccio terapeutico al paziente anziano.

Nei soggetti anziani over 65 anni le scelte terapeutiche devono tenere conto dei rischi potenziali e minimizzare l’eventualità del verificarsi degli stessi. Non è un caso che un anziano su quattro venga ricoverato per problemi derivanti dalla terapia assunta. Questi ricoveri rappresentano il 10% dei ricoveri totali  di cui, in una forbice che varia tra il 30 ed il 55%, potrebbe essere evitata attraverso un’appropriatezza prescrittiva.

A questo vanno aggiunte le ADR  (adverse drug reaction) presenti in 1\3 dei pazienti che assumo almeno 5 farmaci al giorno, di cui almeno il 25% evitabili; a questo quadro va aggiunto che il 18% dei decessi ospedalieri è dovuto ad ADR ed il 44% dei pazienti dimessi tornerà a casa con la prescrizione di almeno un farmaco non necessario.

Siamo in presenza di overuse prescrittiva, appare evidente, come appare evidente che esiste una forte resistenza da parte dei medici, ospedalieri e non, a valutare il paziente anziano rispetto alle linee guida internazionali, a valutare la necessità reale di una prescrizione, a non aderire che “prescrivere di più non significa fare meglio”. Ovviamente la medicina difensiva ha un peso determinante in questa situazione, un peso economico che si somma a quello farmaceutico.

Ian Scott et Coll hanno individuato una guida per de-prescrizione pro-attiva dei farmaci. Interessante è l’approccio pro-attivo ovvero la scelta avviene in totale accordo con il paziente, questo permette al medico di istaurare quell’alleanza terapeutica basata sulla relazione che è fondamentale nella compliance, infatti non è una caso che all’aumentare del  numero di farmaci vi sia un proporzionale aumento della non-compliance che arriva a toccare l’85%.

Pur non esistendo oggi studi che possano confermare come l’approccio individuato da Ian Scott ed Coll possa effettivamente essere efficace per ridurre la prescrizione di farmaci, esistono invece numerosi studi che supportano l’approccio pro attivo alla sospensione di terapie.

In un trial di 119 pazienti disabili a cui sono stati sospesi 332 farmaci nel totale (media 2.8 farmaci a testa) si è potuto registrare un calo della mortalità, un calo della ospedalizzazione nonché della spesa farmaceutica.

Lo stesso metodo è stato introdotto in uno studio che ha visto l’arruolamento di 70 pazienti anziani ricoverati in comunità con una media pro-capite di 7.7 farmaci.  Il 58% dei farmaci è stato interrotto con un risultato finale che ha visto il miglioramento della vita percepito nel 90% dei pazienti.

Questi dati, a cui ne potremo aggiungere altri riportati nell’articolo pubblicato su Evidence, dimostrano come un diverso approccio terapeutico è possibile.

Ad un miglioramento della appropriatezza prescrittiva possono, anzi devono, partecipare in maniera attiva gli Infermieri impegnati quotidianamente nei servizi residenziali e territoriali.

Una maggiore capacità di monitoraggio dei pazienti anziani favorisce senza dubbio un miglior approccio da parte dei Medici di Medicina Generale.

Spesso le terapie nelle strutture residenziali sono costituite da un minimo di 5 farmaci a salire, con uno scarso atteggiamento da parte degli infermieri ad intervenire pro-attivamente per favorire una de-prescrizione del farmaco. Spesso le motivazioni che inducono gli Infermieri a non assumersi la responsabilità di monitorare gli effetti dei farmaci e delle loro iterazioni sono tra le più disparate: dalla mancanza di tempo, ad una organizzazione che lavora sulla prestazione piuttosto che sulla programmazione, da un rapporto medico-infermiere non sempre impostato sul reciproco rispetto delle competenze.

In un altro articolo, pubblicato da Evidence il 30 ottobre 2013, si mettevano in primo piano il problema del camuffamento delle terapie e della frantumazione delle compresse.

In questo studio, portato in pubblicazione da colleghi di Milano, si voleva provare ad evidenziare come tra i problemi della somministrazione delle terapie esista quello legato a disturbi della deglutizione e del rifiuto sistematico da parte del paziente.

In entrambi i casi la scelta ricadeva sul camuffamento e sulla frantumazione delle compresse con il risultato di aumentare il rischio di una inefficacia terapeutica, di ADR per i pazienti ed una aumentato rischio di inalazione delle polveri da parte degli operatori sanitari.

Lo studio, limitato alle RSA di Milano metteva in luce però dati significativi in termini di camuffamento e somministrazione di farmaci alterati: il 30% delle terapie erano alterate e ben il 45% in maniera del tutto impropria.

Appare evidente, scorrendo il testo dell’articolo, come anche in questo caso manchi del tutto l’approccio pro-attivo dell’infermiere rispetto alle terapie prescritte.

In questo quadro, che potrete approfondire accendendo al sito di Evidence, appare evidente come gli Infermieri, pur non agendo come attori nella prescrizione della terapia, possono essere comunque protagonisti nella ricerca dell’appropriatezza farmacologica.

Il un momento complesso dove i fondi stanziati per il Servizio Sanitario sono in continua contrazione è necessario, per non dire indispensabile, da parte degli protagonisti attuare atteggiamenti che sappiano dare al “risparmio” non la visione del taglio ma della giusta azione prescrittiva per il paziente.

Ovviamente non è sufficiente l’alleanza infermiere-medico ma è assolutamente necessario intervenire culturalmente sui cittadini, in questo caso gli anziani e le loro famiglie, dando maggiore peso alla relazione di cura dove spesso vi sono i margini e le possibilità di ottenere lo stesso risultato senza necessariamente la prescrizione farmacologica.

Per saperne di piu:

la spesa farmaceutica in Italia 2015: rapporto AIFA: www.quotidianosanita.it/allegati/allegato3068412.pdf

www.evidence.it/articoli/pdf/e1000062.pdf

www.evidence.it

www.gimbe.org

Piero Caramello

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