L’assistenza territoriale, l’A.D.I., ospedali di comunità, sono gli obiettivi dichiarati da politiche sanitarie regionali a sostegno dei bisogni dei cittadini.
Questo in seguito al progressivo invecchiamento della popolazione, del sempre maggior numero di patologie cronico degenerative, di comorbilità e di disabilità.
Cercheremo quindi di capire come strutturare un sistema di assistenza domiciliare efficiente ed efficace, capace di coniugare l’aspetto puramente tecnico con un aspetto più propriamente relazionale non solamente con il soggetto malato, ma anche con la sua famiglia.
L’obiettivo è creare le sinergie adeguate e perseguire un’attenta cura della persona e del suo ambiente al fine di supportare tutti gli attori nella gestione di un evento che per sua natura appare particolarmente traumatico per tutti e ricavarne da questa esperienza un elevato grado di soddisfazione degli utenti, intesi quindi non solo come i soggetti malati, ma come gruppo/nucleo familiare.
Partiamo quindi da un quadro normativo:
La Legge 833/78, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, ispirandosi ai principi dell’OMS secondo i quali “L’assistenza sanitaria di base rappresenta il primo livello di contatto degli individui, della famiglia e della comunità con il sistema sanitario in un quadro di effettiva partecipazione”, ha garantito, da un lato, l’unitarietà della gestione e del governo dei servizi sanitari (Unità Sanitaria Locale) e dall’altro ha promosso la strutturazione di una rete di servizi il più vicino possibile al luogo di vita delle persone attraverso la “medicina primaria” diffusa sul territorio e organizzata in modo da essere legata alla comunità locale. La stessa legge ha conseguentemente proposto un modello di assistenza primaria fondato sul Medico e Pediatra di famiglia, convenzionati con il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e scelti liberamente dal cittadino.
Il Progetto Obiettivo “Tutela della Salute degli Anziani 1994-1996” indicava l’attivazione dei servizi di assistenza domiciliare integrata (ADI) come obiettivo prioritario ed ipotizzava lo sviluppo di servizi di ospedalizzazione domiciliare (OD) a più elevato contenuto sanitario con l’obiettivo di trattare a domicilio una percentuale di pazienti su tutti i ricoveri ospedalieri.
Il Decreto Legislativo n. 229/99 recante “Norme per la razionalizzazione del servizio sanitario nazionale” e i precedenti Dlgs.502/92 recante “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421” e il Dlgs. n.517/99, indica l’assistenza Domiciliare Integrata (ADI) tra le funzioni e le risorse garantite dai distretti sociosanitari la cui organizzazione è disciplinata dalle regioni.
La Legge 328 dell’8 novembre 2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” prevede che il Fondo nazionale per le politiche sociali determini ogni anno una quota economica esplicitamente destinata al sostegno domiciliare di persone anziane non autosufficienti, con particolare riferimento a “progetti integrati tra assistenza e sanità, realizzati in rete con azioni e programmi coordinati tra soggetti pubblici e privati, volti a sostenere e a favorire l’autonomia delle persone anziane e la loro permanenza nell’ambiente familiare”.
Il DPCM 14 Febbraio 2001. Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie Stabilisce che le cure domiciliari come modalità di risposta ai bisogni delle persone in condizione di non autosufficienza si avvalgono anche di prestazioni di assistenza sociale e del supporto familiare ovvero il bisogno clinico viene valutato anche sotto il profilo funzionale e sociale tramite idonei strumenti atti a consentire una diagnosi multidimensionale e la presa in carico della persona con definizione di un completo programma assistenziale di carattere socio-sanitario. Le Regioni nell’ambito della programmazione degli interventi socio-sanitari determinano gli obiettivi, le funzioni, i criteri di erogazione nonché i criteri di finanziamento avvalendosi del concerto della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale secondo quanto previsto dal D.lgs 502/92
Questo è il quadro legislativo, purtroppo tutta l’organizzazione e la gestione di questo aspetto viene demandato alle regioni.
Ogni regione demanda alle singole aziende sanitarie…bisogna quindi dire che non essendoci una grande attenzione a tutti i livelli per questo tipo di organizzazione, ognuno si organizza come meglio crede.
Il risultato che ci troviamo difronte è una imbarazzante disomogeneità della qualità dei servizi offerti, sia tra regione e regione, che tra aziende sanitarie della stessa regione; addirittura tra distretti di una stessa azienda
Ritengo per tanto utile dare in questa sede alcuni spunti di riflessione su quello che dovrebbe essere un corretto management di questa linea di attività partendo dalla mission che presiede tale tipo di attività.
Possiamo quindi dire che gli scopi dell’assistenza domiciliare sono sostanzialmente:
- fornire continuità assistenziale nel percorso ospedale-territorio;
- fornire assistenza infermieristica, medica, specialistica, riabilitativa, educativa, sociale e preventiva ai pazienti ed alle famiglie con patologie cronico degenarative o acute in fase di stabilizzazione e/o con disabilità;
- favorire la deospedalizzazione precoce dei pazienti;
- contrastare la reospedalizzazione di questi pazienti;
- considerare la famiglia ed il tessuto sociale che ruota intorno al paziente come parte del piano di cura ed assistenza.
Come quindi organizzare in modo organico ed efficiente un servizio così complesso e nello stesso tempo essenziale per gli utenti?
Direi che al di là degli aspetti propriamente tecnici legati all’assistenza nella sua complessità, dovrebbero essere almeno quattro gli aspetti che devono guidare il management di questa linea produttiva:
- il lavoro in rete con tutti gli attori coinvolti ed in particolare con i servizi sociali, con i servizi distrettuali, con il territorio e con il volontariato che opera sul territorio, ma anche ove necessario con il vicinato;
- il coinvolgimento e quindi il lavoro sulla e con la famiglia che deve avere lo scopo di individuare un care giver e di mobilitare con esso tutte le forze positive della famiglia e dell’assistito in modo da creare un ambiente favorevole al progetto di cura;
- una progettazione complessiva e personalizzata del processo di assistenza, la valutazione della sua efficacia ed eventuali modifiche necessarie a raggiungere gli scopi proposti;
- una unità diciamo così “di coordinamento” che sia nello stesso tempo in grado di guidare e progettare il lavoro sul campo ed abbia una funzione di ascolto e di punto di riferimento per le famiglie, per gli utenti e per tutti gli operatori.
Ritengo particolarmente importanti questi aspetti all’interno del management perchè sono peculiari ad un servizio di qualità che sia un grado di essere percepito come vicino ed amico degli utenti attenuando se non annullando il senso di abbandono che pervade chiunque si trovi ad affrontare un evento di questo tipo.
Possiamo affermare (senza temere smentita) che un servizio di assistenza domiciliare debba essere in grado di accompagnare e di supportare l’assistito, la famiglia, la comunità, non solamente dal punto di vista tecnico nelle singole prestazioni, ma deve farsi carico del difficile compito di gestire la patologia del proprio famigliare in modo olistico, così da creare un clima di fiducia, di accoglienza che gioverà non di poco al raggiungimento degli obiettivi del piano assistenziale.
La figura più idonea a prendersi carico di questo aspetto è sicuramente l’infermiere, in stretta collaborazione con il M.M.G.
Sono le due figure cardine del piano di assistenza: il primo per quello che riguarda la parte più propriamente assistenziale, il secondo per quello che riguarda la parte diagnostico/terapeutica.
Il modello organizzativo infermieristico che più si adatta a questo scopo (stante a tutt’oggi l’assenza di un modello organizzativo dedicato all’assistenza territoriale), è quello del primary nersing che pur non nascendo da un impostazione territoriale soddisfa le necessità di presa in carico del paziente ed appare il più idoneo a soddisfare le necessità di infermieristica di famiglia legate a questa attività.
Sarà quindi l’assegnazione ad un infermiere “di famiglia” del caso assistenziale il primo passo per la progettazione dell’intervento.
L’infermiere con la collaborazione di una equipe multidisciplinare, (di cui minimo devono far parte il M.M.G., un infermiere dell’equipe di coordinamento e ove necessario una figura professionale della riabilitazione, gli specialisti necessari ed il care giver) dovranno redigere un piano assistenziale.
Lo stesso dovrà essere sia un piano programmato di interventi, che una linea guida per tutti gli attori, prevedendo obiettivi raggiungibili e verificabili, e che sia abbastanza elastico da poter portare i giusti correttivi, adattato a seconda delle circostanze che si presentano, renderlo personalizzato sulle esigenze del paziente inserito nel suo ambito famigliare, ed infine che sia accettato e sottoscritto dal paziente e dal care giver.
La figura del care giver
E’ rappresentata comunemente da uno o più famigliari e/o comunque la persona che si prende cura del paziente. Rappresenta un tassello fondamentale in quanto punto di raccordo tra il servizio di assistenza domiciliare ed il paziente stesso.
Il care giver segue il paziente ed è in grado di rappresentare le esigenze man mano che si presentano; è una figura che va supportata e formata fino a diventare una vera e propria interfaccia che permetta di applicare appieno e con efficacia il piano assistenziale programmato. Facilita e supporta il lavoro dei vari operatori: una figura essenziale, per cui è importante che entri in pieno nel suo ruolo, che sia motivato e supportato dall’organizzazione del servizio.
Questo a grandi linee è il quadro di management che dovrebbe rispecchiare un servizio di assistenza domiciliare.
Un’organizzazione non statica ed immutabile, ma elastica ed adattabile e personalizzabile ad ogni tipo di assistenza e ad ogni singolo caso.
Che sia capace di fornire risposte assistenziali attraverso professionisti qualificati e nel contempo capace di curare l’aspetto socio-relazionale e di prevenzione con interventi mirati in ogni singola realtà.
L’infermieristica di famiglia in questo ambito riveste la figura di riferimento per la famiglia, il paziente ed il care giver.
La mia personale esperienza nel settore suggerisce, che se si riesce ad applicare questi semplici principi, con gli infermieri che operano diventando punto di riferimento dell’organizzazione, (e quindi non solamente erogando la semplice prestazione) i risultati si vedono sia in termini di raggiungimento degli obiettivi, sia in termini di soddisfazione degli utenti.
Angelo De Angelis
Fonti
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Cosetta A.B. “Professione Infermiere” , Torino, UTET, 1995.
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Working group, World Health Organization, Regional Office for Europe. “Therapeutic patient education. Continuing education programs for healthcare providers in the field of prevention of chronic diseases.”, W .H.O., Genova, 1998
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