L’amara riflessione del presidente del sindacato: “I giovani fuggono dal modo in cui sono trattati oggi gli infermieri italiani”.
Perchè un giovane, alle prese con la delicata decisione di scegliere il suo futuro percorso di studi, quello che influenzerà per sempre o quasi il suo destino, dovrebbe decidere oggi di intraprendere il triennio che porta alla laurea di dottore in Infermieristica? Sembra paradossale che a chiederselo sia io, Antonio De Palma, presidente di un sindacato nazionale di infermieri, una persona che dedica la sua vita agli interessi della categoria. Eppure è l’amara realtà che emerge dagli ultimi dati di alcuni tra i principali molti atenei italiani.
Il recente grido di allarme lanciato da Stefano Volpato, direttore del corso di laurea in Infermieristica dell’Università di Ferrara, non rappresenta certo un caso isolato. L’emergenza Covid-19 ha lasciato il segno sulla pelle e nella mente degli infermieri italiani, quelli che sono stati acclamati eroi, quelli che dopo l’improba battaglia contro la pandemia sono stati però messi da parte, come scarpe vecchie riposte in un armadio da un Governo cieco e indifferente di fronte alle loro legittime istanze.
Abbiamo lottato senza paura, ci siamo ammalati, molti di noi ci hanno rimesso anche la vita. Questo ha permesso di creare, da una parte, un legame profondo con la società civile che, a differenza dei “signori del potere”, ha compreso il nostro impegno profuso nella sfida quotidiana contro la morte. Si è quindi creato un profondo rapporto di stima con i cittadini, più solido che mai. Ed è inevitabile: abbiamo combattuto per loro, senza mai tirarci indietro.
Lo abbiamo visto in modo chiaro durante i recenti flash mob: la gente per strada ci applaudiva, si commuoveva e si indignava di fronte alle nostre urla di rabbia. Dall’altra parte, però, è davanti agli occhi di tutti, soprattutto nella mente delle nuove generazioni che devono scegliere il loro futuro, che l’infermiere italiano sta vivendo un momento storico delicatissimo. E’ vero che essere infermiere significa potersi ritrovare da un momento all’altro a lottare contro la morte, contro un nemico sconosciuto, subdolo e invisibile, ma non è questo che influenza i giovani. O meglio, non è la paura delle malattie che incide principalmente sul calo di iscrizioni universitarie.
L’infermiere italiano, dopo la laurea, anche a distanza di alcuni anni dall’inizio dell’attività lavorativa, porta a casa uno stipendio medio di 1.400 euro. Siamo, nella nostra categoria, tra i meno pagati d’Europa. Eppure quando decidiamo di lasciare l’Italia, siamo capaci come pochi di fare la differenza laddove veniamo messi in condizione di esprimere le nostre capacità. Belgio, Regno Unito, e da ultimo Irlanda, Lussemburgo, apprezzano i giovani infermieri italiani, avvantaggiano la loro crescita professionale, rappresentano “isole felici” che la fallace politica sanitaria italiana non è in grado di eguagliare. A mio modo di vedere, non è solo l’incertezza legata a una nuova futura pandemia a tenere lontani i giovani dal corso di laurea in Infermieristica. Se così fosse, non avremmo numeri stabili a Medicina o Farmacia o Biotecnologie mediche.
Il rischio è reale. Gli eroi, che potrebbero diventare “martiri a vita”, non rappresentano una bella immagine per un giovane che deve decidere la strada da intraprendere. Nessuno ha mai osato dire che la nostra è una professione facile da condurre, e mai lo sarà: la scegli se ci credi; la scegli se in essa ti realizzi. Sei consapevole dei rischi e della fatica. Ma essere presi a calci, derisi, dopo aver dimostrato di essere la colonna portante di un Sistema sanitario che fa acqua da tutte le parti… No, grazie. Non ci sta più bene. La storia può e deve cambiare.
Redazione Nurse Times
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