Intervistata dal Giornale, Elena Karas racconta l’attacco russo del 9 marzo scorso.
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Ha fatto il giro del mondo, il volto di Elena Karas, l’infermiera immortalata nella foto che documenta gli attimi successivi all’attacco dei militari russi all’ospedale di Mariupol del 9 marzo scorso. Arrivata in Italia, ora è ospite di una famiglia di Verona con i nipoti Nikita e Makar.
«In Italia ero già stata due volte, facevo la badante – racconta in un’intervista rilasciata al Giornale -. Non sento mio figlio Mihail, che ha 30 anni e fa il soldato, da due settimane. Non so dove si trovi, c’è il segreto militare. Prima che partissi mi diceva che la situazione era molto difficile ed era meglio andarsene. Anche mia madre è rimasta là. Mia figlia Katerina sta combattendo, è soldato a contratto dall’anno scorso».
Poi parla del bombardamento avvenuto il 9 marzo: «Eravamo tre infermiere, non potevamo lasciare i bambini: 13 neonati in tutto, di cui due abbandonati. Era pomeriggio, poco dopo le 15 siamo stati colpiti. In quel momento noi del personale eravamo nella sala di Terapia intensiva. Io ero vicino alla finestra. Nonostante avessimo sistemato degli armadi per coprirla, sono caduti e siamo stati investiti come da una tempesta. Tutto si è ricoperto di polvere e una scheggia di vetro mi ha ferito alla testa».
E ancora: «Nell’ospedale c’erano anche mamme e nonni. I medici ci hanno detto di correre nel seminterrato. Le madri sono andate a prendere i loro bambini. Per fortuna non c’è nessun morto, anche se un’ altra infermiera ha avuto una commozione cerebrale. Dopo una decina di minuti sono accorsi i nostri soldati per il trasferimento nell’ospedale militare, ma non c’era posto per tutti e io non sono salita. Anche perché poi non sarei potuta tornare a casa».
Redazione Nurse Times
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