Le parole che utilizziamo durante un dialogo possono esporre i presenti ad un maggiore rischio di trasmissione del Covid-19?
Questo è il quesito che si sono posti i ricercatori della University of Nicosia (Cipro). Il team diretto dal prof. Georgios P. Georgiou ha condiviso i risultati in uno studio pubblicato alcuni giorni fa sulla rivista scientifica “Irish Journal of Medical Science”. Gli studiosi si sono domandati se le caratteristiche fonologiche tipiche di alcune lingue possano essere più pericolose ai fini della trasmissibilità del Covid-19.
Particolare attenzione è stata rivolta alla frequenza di utilizzo delle lettere aspirate e alle consonanti dentali, labiali e labiodentali. Sono state analizzate diverse lingue e dialetti ed il loro utilizzo delle suddette consonanti.
Il protocollo di ricerca ha previsto l’inclusione delle popolazioni maggiormente colpite dal Covid-19 e dotate di un repertorio linguistico che include un ampio utilizzo quotidiano della comunicazione verbale rispetto a quella non verbale.
Sono state confrontate le popolazioni che utilizzano lettere aspirate nel loro vocabolario rispetto a quelle che non le utilizzano. Il team si è concentrato sulle lingue che adottano maggiormente le consonanti occlusive, analizzando i rispettivi dati di diffusioni del virus.
I risultati della ricerca hanno evidenziato come non vi sia una significativa correlazione tra incremento del rischio di contagio da Covid-19 ed utilizzo delle lettere aspirate.
È invece emersa una significativa correlazione nell’incremento dell’incidenza e della trasmissibilità utilizzando maggiormente la consonante “P” durante le conversazioni. Tale lettera è risultata in grado di generare un maggior quantitativo di droplets e di diffonderli ad una distanza maggiore rispetto alle altre lettere dell’alfabeto.
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