Si tratta di una figura che può fare la differenza nella gestione del paziente.
Ridurre la fatica respiratoria dei pazienti con Covid-19, migliorare la gestione dei sintomi, ridurre la necessità di intubazione, aiutare il paziente a raggiungere l’autonomia rispetto alla ventilazione meccanica e ai supporti respiratori, aiutare la persona nella ripresa dell’autonomia nella vita quotidiana. Questi sono solo alcuni dei macro-temi su cui il fisioterapista respiratorio fa la differenza e sui quali si è sviluppato nei giorni scorsi il seminario internazionale “Respiratory physiotherapists fighting Covid-19” organizzato dall’Associazione Riabilitatori dell’Insufficienza Respiratoria-(ARIR), evento che ha visto la partecipazione di 800 specialisti di settore.
L’obiettivo dei responsabili scientifici dell’evento – Andrea Lanza (vicepresidente ARIR, Equipe Fisioterapia respiratoria, Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano) ed Emilia Privitera (consigliere ARIR, fisioterapista, Dipartimento Professioni sanitarie, Irccs Ca’ Granda-Ospedale Maggiore Policlinico, Milano) – era quello di condividere esperienze, strategie terapeutiche e modelli organizzativi per la gestione del coronavirus.
E le tre sessioni dell’evento – fisiopatologia e approccio clinico al Covid-19, risposte ai quesiti clinici, aspetti organizzativi ed esperienze internazionali, sviluppate con 13 relazioni accademiche – hanno sottolineato un dato: il fisioterapista è stato coinvolto ovunque nella gestione dei casi da Sars.Cov.2, dalla gestione in pronto soccorso alle terapie intensive e subintensive, ma ha potuto offrire il massimo apporto laddove la sua figura era già prevista presente nei team multidisciplinari.
Nei casi in cui questa non era gia’ prevista è stato necessario integrarli urgentemente all’interno dei gruppi di lavoro, per assicurare gli interventi precoci e indispensabili già dalle prime fasi di cure intensive, ma anche per gestire formazioni “lampo”, sulla gestione delle strategie e dei presidi respiratori, dedicate ai colleghi ed ai professionisti sanitari non specializzati, contribuendo anche a individuare e valutare tutti i tipi di apparecchiature (ventilatori, interfacce, sistemi di erogazione dell’ossigeno) più utili per i pazienti.
Al centro del dibattito promosso da ARIR c’è stata una considerazione: la storia di questa pandemia ha ricordato il ruolo vitale della comunità scientifico-assistenziale. Tutti gli operatori sanitari sono membri a pieno titolo di questa comunità scientifica, ciascuno – intensivisti, pneumologi, fisioterapisti – con una visione privilegiata e con il potenziale per acquisire e interpretare informazioni uniche e indispensabili per fare il quadro generale più completo. “C’e’ molto da imparare da questa esperienza – hanno sottolineato i relatori – e tutto questo ci renderà più pronti ad affrontare le sfide future, comprese quelle pertinenti alla fisioterapia ed alla riabilitazione polmonare”.
La conclusione del seminario è stata affidata alle parole di Andrea Lanza: “Ora più che mai i fisioterapisti respiratori sono chiamati all’azione. Tuttavia dobbiamo ampliare le nostre competenze per rispondere ai sempre nuovi bisogni di salute che si affermano anche in periodi emergenziali. Per questo dobbiamo riscrivere i modelli organizzativi nei contesti acuti e rafforzare il nostro ruolo nella comunità”.
E in giro per il mondo la “riscrittura” del modello di gestione dell’emergenza è già in atto. Non a caso in Brasile, come ha sottolineato il professor Wellington Pereira Yamaguti (fisioterapista dell’Hospital Sirio-Libanes di San Paolo, il più importante centro sanitario del Sudamerica), al termine della prima fase pandemica è stata emessa una direttiva sanitaria che include il fisioterapista in tutti i reparti di medicina intensiva, con l’indicazione della presenza di un fisioterapista ogni sei-dieci letti. Anche il nostro Paese potrebbe uniformarsi a questa scelta lungimirante, per essere in grado di acquisire una preziosa risorsa strategica nella gestione abituale delle terapie intensive.
Redazione Nurse Times
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