Intervistato dal Corriere della Sera, il direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas ha rivolto un appello ai ragazzi fra i 12 e i 18 anni, toccando anche altri temi di stretta attualità riguardanti la pandemia.
«Vaccinatevi. Anche per ritornare a scuola in sicurezza». Questo l’invito rivolto ai ragazzi fra i 12 e i 18 anni da Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas e professore emerito dell’Humanitas University di Milano.
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera l’immunologo ha aggiunto: «Il vaccino è come la cintura di sicurezza in auto. Ma questa da sola non può proteggerci al 100%, se passiamo col rosso. Quindi non dimentichiamo tutte le altre precauzioni, mascherina compresa. Anche chi ha già avuto il Covid è poco protetto, soprattutto tra gli anziani. Uno studio firmato Pfizer, condotto su circa 44mila individui fra i 12 e i 90 anni e pubblicato online (cioè accessibile a tutti), dimostra che nelle persone anziane la malattia dà una protezione da una nuova infezione solo nel 47% dei casi. Il suggerimento è di vaccinare, al momento con una dose».
Mantovani si è espresso anche sulleventuale terza dose di vaccino anti-Covid: «Facciamo sempre riferimento ai dati scientifici. Sappiamo ancora, grazie al lavoro di Pfizer, che a sei mesi dalla somministrazione del loro vaccino la protezione dall’infezione diminuisce (cioè un vaccinato si può reinfettare), ma rimane alta: la capacità del vaccino di evitare le ospedalizzazioni e la morte è oltre l’80%. Per ora non si hanno indicazioni certe per la terza dose. Il problema riguarda le persone fragili, per esempio, perché colpite da tumori del sangue, e perché reagiscono poco ai vaccini. Cercheremo di dare risposte concrete con uno studio, che si chiama Vax4Frail, è sostenuto dal ministero della Salute e ci vede partecipi, come Istituto Humanitas, con partner quali l’Istituto Tumori di Milano e il Regina Elena di Roma. I risultati dovrebbero arrivare entro l’estate».
In futuro, dice ancora Mantovani, «occorre portare i vaccini ai Paesi poveri, altrimenti il virus può circolare e produrre nuove varianti, magari più aggressive.
Quanto alle terapie farmacologiche: «Uno dei primi obiettivi della ricerca è quello di capire se esiste una predisposizione genetica alla malattia e se esistono marcatori che possono individuare una persona a rischio di sviluppare forme gravi. Come Istituto Humanitas, abbiamo contribuito a un lavoro pubblicato su Nature, coordinato da Andrea Ganna, che sta cercando di far luce su questi aspetti. Al momento si stanno sperimentando anticorpi monoclonali contro la proteina Spike da destinare a pazienti fragili. Ma secondo un nuovo studio, pubblicato sulla piattaforma Recovery, potrebbero anche funzionare nelle fasi avanzate. Sono soluzioni che si stanno sperimentando se il vaccino fallisce o non funziona. Sono due anticorpi, frutto della ricerca italiana: uno è un monoclonale, che vede tutte le varianti del virus, studiato da Davide Corti (pubblicato su Nature); l’altro è un ‘mini-anticorpo’ ingegnerizzato, ideato da Rino Rappuoli. Attendiamo i risultati delle sperimentazioni».
Redazione Nurse Times
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