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Coronavirus, la testimoinianza di un infermiere intubato: “Ho rischiato di morire”

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Rilanciamo l’intervista realizzata dal Resto del Carlino a Giordano Garbuglia, caposala del reparto di Anestesia e rianimazione dell’ospedale di Civitanova.

Lo scorso 17 novembre il personale sanitario dei moduli di terapia intensiva del Covid Hospital di Civitanova Marche si è visto arrivare l’ennesimo paziente colpito da polmonite bilaterale grave, da intubare con urgenza. Le operazioni sono state effettuate con cura assoluta, ma c’era qualcosa di profondamente diverso. Per medici e infermieri non era un paziente qualunque, ma colui che per anni ha gestito la funzionalità del reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Civitanova.

Giordano Garbuglia, 57 anni, caposala del reparto di Anestesia e rianimazione dell’ospedale di Civitanova, oggi sta meglio, ma le ultime due settimane sono state durissime. Dieci giorni fa, durante il reportage del Carlino all’interno del Covid Hospital, lo avevamo visto in coma indotto, un’immagine drammatica, come quella di tutti i pazienti intubati a causa del Sars-Cov2 negli ospedali delle Marche. Passato attraverso l’intubazione, ora si trova in uno dei moduli semi-intensivi dell’Astronave e ieri mattina siamo riusciti a entrare in contatto attraverso una videochiamata. Il suo volto appariva molto diverso, stanco, ma anche più sorridente e rilassato.

Garbuglia, prima di tutto una domanda banale, ma neanche troppo: come sta?
“Molto meglio, il peggio dovrebbe essere passato, i segni del virus ci sono e resteranno ancora. Il fatto di essere passato da un reparto di cure intensive a uno step precedente è importante”.

Pensa sarà dimesso presto?
“Questo non lo so, i medici, i miei colleghi di lavoro, parlano di un percorso in discesa, tuttavia non è stata ancora fissata una data per le dimissioni. In ogni caso, una volta uscito di qua non tornerò subito a casa, ci vorrà tanta riabilitazione. Il Covid-19 lascia segni profondi”.

A proposito del Covid e del suo impatto sulla salute, che cosa si sente di dire a chi sostiene delle tesi negazioniste?
“Potrei utilizzare dei termini molto pesanti e offensivi nei loro confronti, rischiando così di esagerare. Mi limito, dunque, a dire loro che si informino e studino. Qui c’è gente che sta male, che muore, e ritengo assurdo ci siano ancora persone ferme nelle loro posizioni negazioniste”.

Questi soggetti parlano del virus paragonandolo alla normale influenza, cosa ne pensa?
“Il Covid si può manifestare con un banale raffreddore, ma ha dimostrato di poter uccidere con una facilità estrema. I numeri sui decessi con o per Covid stanno lì a dircelo. Prenda il mio caso: il virus ha preso i polmoni in forma gravissima e ho rischiato di morire. Non c’è nulla di inventato, ma solo il dolore e paura”.

In questa fase si discute molto di un alleggerimento delle misure restrittive: tanti vorrebbero andare in vacanza sulla neve, altri a fare Natale e Capodanno come se nulla fosse. Lei come si comporterebbe?
“Il Natale di solito si festeggia in casa, quest’anno deve essere ancora di più così. È assolutamente necessario abbassare la soglia dei contagi, altro che le settimane bianche e i cenoni”.

Garbuglia, come pensa di essersi contagiato?
“Non ne ho idea, potrebbe essere accaduto fuori, ma anche qui in ospedale. Il mese scorso ho avuto prima un po’ di tosse, poi è arrivata anche la febbre. Il 12 novembre mi sono sottoposto al tampone, che ha confermato la positività, e nei giorni successivi le condizioni si sono aggravate. Il 17 novembre, sono entrato al Covid Hospital e il 20 sono stato intubato, e così sono rimasto per una decina di giorni”.

Che senso le ha fatto, al di là di tutto, entrare in ospedale da paziente?
“È stata una cosa stranissima, dopo trent’anni di lavoro ad accogliere, curare pazienti, trovarmi dall’altra parte. Ringrazio tutto il personale, la maggior parte sono colleghi. Il resto l’ha fatto la vicinanza della mia famiglia”.

Redazione Nurse Times

Fonte: il Resto del Carlino

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