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Coronavirus e “cascata del complemento”: lo studio

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Coronavirus e "cascata del complemento": lo studio
In this Feb. 6, 2020, photo released by the California Department of Public Health, is a demonstration of the equipment and procedures that will be used at the department's Viral and Rickettsial Disease Laboratory lab in Richmond, Calif., to conduct tests for novel coronavirus. This is not an actual test of a novel coronavirus specimen. (California Department of Public Health via AP)
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I ricercatori di Irccs Policlinico di Milano e Istituto Auxologico Italiano hanno esplorato una nuova strada per comprendere i meccanismi della malattia.

Uno studio pubblicato sul Journal of Allergy & Clinical Immunology e condotto dagli Irccs Policlinico di Milano e Istituto Auxologico Italiano apre una nuova via per decifrare il rebus dei sintomi di Covid-19 e dei meccanismi della malattia. L’attenzione è concentrata su quella che i ricercatori chiamano in gergo tecnico “cascata del complemento”, “dimostrando per la prima volta – spiegano gli autori – come in corso di Covid-19 grave sia attivata proprio questa cascata”.

Segni di questa attivazione sono stati rilevati su un gruppo di pazienti analizzati dai ricercatori nell’ambito del loro lavoro. Il complemento, spiega Pier Luigi Meroni, direttore del Laboratorio sperimentale di ricerche di immunologia clinica e reumatologia dell’Auxologico di Milano, «è costituito da una serie di proteine che si attivano a cascata in maniera molto simile a quella della coagulazione»

Ha una funzione essenziale nelle difese dell’organismo verso agenti infettivi e verso neoplasie, «la cosiddetta immunità innata, quella componente di sistema immunitario che si attiva ancor prima che si sviluppi una risposta immune specifica», chiarisce l’esperto, aggiungendo: «È in grado di scatenare la produzione di fattori infiammatori quali le anafilatossine, di stimolare l’attivazione della stessa coagulazione e, in caso di mancato controllo, di sostenere un’esagerata risposta infiammatoria. L’inibizione del complemento ha un potenziale terapeutico in corso di Covid-19 grave perché, agendo contemporaneamente sia sull’infiammazione sia sulla coagulazione, può prevenire un ulteriore danno polmonare e sistemico».

Lo studio, aggiunge Massimo Cugno, dell’Unità operativa di Medicina generale-emostasi e trombosi del Policlinico di Milano, Centro Angelo Bianchi Bonomi, Università degli Studi del capoluogo lombardo, «ha dimostrato che i 31 pazienti con Covid-19 e insufficienza respiratoria» presi in considerazione «avevano segni di attivazione della cascata del complemento evidenziati utilizzando test molto sensibili che solitamente si usano nel monitoraggio e nella cura di malattie rare legate al complemento». Inoltre «la presenza di prodotti di attivazione del complemento in questi pazienti si è dimostrata associata al grado di gravità della malattia».

La ricerca, fa notare Cugno, «ha quindi offerto da un lato un nuovo strumento prognostico per la Covid-19 e dall’altro il razionale per l’uso terapeutico di farmaci bloccanti il complemento fino ad ora utilizzati solo come ‘ultima spiaggià o, come si dice, per uso compassionevole. Gli stessi test potranno essere di aiuto nel monitorare in modo sensibile la risposta o la non risposta a questo tipo di farmaci permettendo quindi di personalizzare le cure nei singoli pazienti».

In attesa di un vaccino specifico, tutto il mondo è impegnato nella caccia a possibili trattamenti terapeutici in grado di arginare le manifestazioni cliniche più gravi di Covid-19. L’infezione si presenta infatti con un quadro clinico che varia da una forma con sintomi minimi come tosse e febbricola, a forme gravi con insufficienza respiratoria che sino al 15% dei casi possono essere pericolose per la vita.

Una strategia è stata quella di contrastare la tempesta citochinica, usando farmaci che bloccano i mediatori dell’infiammazione, cioè le citochine, prendendo in prestito preparati farmacologici dalla terapia di malattie infiammatorie come l’artrite reumatoide. I risultati, seppure promettenti, sono in attesa dell’esito di studi clinici in grado di validarne formalmente l’efficacia. Ora si apre una nuova strada da esplorare.

Redazione Nurse Times

Fonte: Il Messaggero

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