E’ stata necessaria una battaglia legale di 17 anni, ma alla fine la paziente ha ottenuto il risarcimento.
Dopo una battaglia legale durata ben 17 anni, una donna di Mestre è riuscita a ottenere giustizia. Nel 2006 la paziente era ricoverata a Catania per un’insufficienza renale e, durante il trattamento con trasfusioni di sangue ed emodialisi, contrasse il virus dell’epatite C.
Nonostante gli esami iniziali certificassero la sua negatività al virus, la diagnosi di epatite C giunse poco tempo dopo le dimissioni. La donna sospettava che il contagio fosse avvenuto durante le sedute di dialisi e trasfusioni in ospedale, e per ottenere il risarcimento si rivolse agli avvocati Marta Guarda e Massimo Dragone. La causa fu inizialmente negata, in quanto l’indennizzo di legge è previsto solo per i casi di contagi post-trasfusionali, ma in appello la sentenza fu rovesciata e il risarcimento venne stabilito ogni due mesi. Anche la Cassazione ha successivamente confermato la decisione di equiparare il contagio da dialisi a quello da trasfusione.
Tuttavia, per ottenere il pagamento del risarcimento, la paziente e i suoi avvocati hanno dovuto rivolgersi al Tar del Veneto, che ha condannato il ministero della Salute a pagare alla donna 160mila euro come arretrati, oltre interessi e rivalutazione e rimborsi, e 800 euro al mese come quota fissa. La sentenza ha stabilito inoltre il principio secondo cui il rischio tutelato dalla legge per cui viene previsto l’indennizzo in caso di malattie contratte durante una trasfusione comprende anche l’ipotesi in cui il contagio sia derivato dalla contaminazione del sangue proprio del contagiato durante la seduta di dialisi, a causa delle sostanze ematiche lasciate da un altro paziente.
La vicenda di questa donna, capace di fare scuola e aprire una strada anche per altre persone contagiate durante sedute che non sono solo di trasfusione, dimostra che la giustizia può essere ottenuta anche dopo anni di battaglie legali.
Antonio Cennamo
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