La storia che sarà raccontata di seguito mette in evidenza come le direzioni ospedaliere considerino ancora il personale infermieristico.
L’episodio increscioso accaduto presso l’Azienda Ospedaliera di Ancona ha coinvolto un infermiere operante in sala operatoria che, come ogni suo collega, svolge turni alternati tra mattino e pomeriggio e copre i turni notturni grazie ad una “pronta disponibilità”
Si tratta pertanto di un istituto contrattuale che prevede il richiamo al lavoro in caso di necessità ma che, comunque non può andare contro alle normative italiane ed europee riguardanti le ore di riposo continuative tra un turno ed il successivo.
Di seguito sono riportati i fatti accaduti:
- l’infermiere in questione svolge il turno di mattina in sala operatoria iniziando alle ore 7.30 e terminando alle ore 14.00,
- alle ore 19.45 ha inizio il periodo di pronta disponibilità,
- a mezzanotte viene richiamato in servizio tramite l’istituto contrattuale svolgendo un intervento chirurgico urgente,
- termina il servizio alle ore 8 del mattino successivo, si cambia e timbra l’uscita alle ore 8.09,
- il collega, ultrasessantenne e prossimo alla pensione, provato dalle quasi 16 ore di lavoro nelle ultime 24, comunica in forma scritta l’impossibilità a prendere servizio per il turno di pomeriggio.
Avrebbe dovuto ritornare in sala operatoria nemmeno 5 ore dopo aver terminato il servizio notturno. Ritenendo di avere diritto alle 11 ore di riposo continuativo comunica all’ente ospedaliero che non si sarebbe presentato a lavoro.
Nonostante ciò, in mattinata riceve la telefonata della coordinatrice infermieristica che gli intima di recarsi al lavoro. L’infermiere chiede di ricevere un ordine di servizio scritto che però gli viene negato. Viene informato che il suo comportamento sarà considerato come “assenza ingiustificata”.
Il collega non si reca al lavoro e dopo quindici giorni riceve la lettera di “contestazione di fatti disciplinari” contenente il richiamo non più per l’assenza ingiustificata (fatto più grave) ma per la più generica inosservanza alle disposizioni di servizio (fatto meno grave) per non essersi recato al lavoro.
L’incongruenza appare da subito evidente: dato che il dipendente non si è recato a lavoro per quale motivo non sarebbe stato “accusato” di assenza ingiustificata?
Una coordinatrice può permettersi di svegliare un infermiere che ha lavorato per oltre 12,50 ore (limite massimo consentito per legge) con una telefonata stupendosi che il dipendente abbia risposto con “toni alterati” contrapponendo il comportamento ritenuto corretto dei colleghi che hanno rinunciato al riposo e al sonno e si sono recati comunque al lavoro.
Anche la dirigente infermieristica, che agisce per conto della direzione, anziché richiamare la coordinatrice infermieristica per questo “eccesso di zelo“, richiama l’infermiere per aver rivendicato il proprio diritto al riposo e al sonno dopo aver trascorso un’intera notte a lavorare.
Viene spontaneo domandarsi quale idea di lavoro e di servizio abbia un’azienda che non solo neghi questi diritti di buon senso, prima che giuridici e contrattuali, e quale idea di qualità di servizio abbia un’azienda che privi del sonno il proprio personale?
Come può essere garantita la sicurezza delle cure per gli utenti? I pazienti e i loro familiari vengono informati del fatto che nelle equipe di sala operatoria dei turni pomeridiani di tutta Italia, siano in servizio persone che, molte volte, non hanno chiuso occhio la notte precedente?
Sottoporre a procedimento disciplinare un infermiere che meriterebbe un encomio è la giusta politica del personale da perseguire?
Sulla questione interviene il segretario Territoriale Nursind di Ancona, Giuseppino Conti (VEDI).
Allegato
Fonti: quotidianosanita.it
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