“Con l’entusiasmo delle origini, verso nuovi orizzonti”. E’ questo il titolo del 64esimo Congresso della Società Italiana di Nefrologia (SIN), che si terrà a Torino dal 4 al 7 ottobre. Le nuove opportunità terapeutiche per il contrasto della progressione del danno renale, l’impiego della tecnologia – in particolare della telemedicina e dell’intelligenza artificiale -, la terapia domiciliare dei pazienti in dialisi, le ricerche di frontiera nel campo del trapianto renale, saranno al centro dei lavori che coinvolgeranno esperti, professionisti e ricercatori di nefrologia da tutto il Paese.
I problemi renali coinvolgono una fetta importante della popolazione, dal 7 al 10%, uomini e donne in eguale misura. “I reni – spiega Stefano Bianchi, presidente della Società Italiana di Nefrologia – sono spesso coinvolti in malattie e condizioni non renali come il diabete, l’ipertensione arteriosa e le malattie cardiovascolari oltre che in alcune malattie sistemiche, in particolare quelle reumatologiche, molto spesso in modo subdolo. I reni, infatti, hanno dei meccanismi di compenso e i sintomi appaiono solo quando la funzione renale si è molto ridotta, almeno sotto al 60%”.
Da qui l’appello che la SIN lancia dal congresso: “Chi soffre di una malattia ad alto rischio di presentare un danno renale, dovrebbe controllare in maniera sistematica la salute dei suoi reni”.
D’altronde, dopo molti anni di quiescenza terapeutica, la nefrologia sta vivendo un momento in cui le opportunità terapeutiche per contrastare la progressione del danno renale sono numerose ed innovative. Fra queste, l’utilizzo del finerenone nei pazienti con e senza diabete: la sua azione contrasta la progressione della malattia renale e anche lo sviluppo delle sindromi cardio-renali.
Poi la disponibilità di un farmaco, roxadustat, in grado di contrastare l’anemia da malattia renale cronica, una conseguenza della malattia che coinvolge il 90% dei pazienti e che influisce pesantemente sulla loro qualità di vita. E ancora un medicinale, difelikefalin, che ha dimostrato di lenire il prurito sistemico legato alla malattia renale, un sintomo invalidante che colpisce il 40% dei pazienti, soprattutto dializzati.
“Con l’entusiasmo delle origini, questa edizione del congresso riflette l’ottimismo e la volontà di guardare verso nuovi orizzonti – afferma Bianchi -. In un mondo che sta affrontando molteplici sfide sanitarie, il campo della nefrologia sta dimostrando di essere al passo con l’innovazione e la ricerca per migliorare la salute dei pazienti”.
Sul fronte delle patologie, quelle che possono colpire i reni sono molte, in alcuni casi si tratta di malattie rare, ma non per questo meno gravi. Come le glomerulonefriti, alcune di origine genetica, patologie che colpiscono i giovani che rappresentano una delle principali cause di insufficienza renale terminale. Per alcune di queste è oggi disponibile una nuova molecola, sparsertan, che ha dimostrato di ridurre i danni a carico dei reni.
Novità anche nel campo della nefrite lupica, una delle conseguenze del lupus erimatoso sistemico, che colpisce soprattutto le donne: è disponibile una nuova molecola, voclosporina, che rappresenta un’opzione più efficace e di semplice gestione rispetto a quanto a disposizione fino a oggi. Infine una grande speranza arriva dalla terapia genica contro la malattia di Fabry, causata da un aumento anomalo di lipidi a livello dei lisosomi cellulari, specialmente nei tessuti viscerali e nell’endotelio vascolare di tutto l’organismo.
“La terapia, che è stata approvata per la sperimentazione clinica in fase II fino a oggi solo in Canada, agisce attraverso un vettore virale che trasporta all’interno delle cellule del fegato una versione sana del gene GLA, la cui mutazione è alla base della malattia – spiega Sandro Feriozzi, responsabile scientifico del 64esimo Congresso SIN e direttore UOC Nefrologia e dialisi Viterbo-Università Campus-Biomedico Roma -. L’idea è quella di far produrre dalle cellule in cui è stato inserito il gene sano la versione funzionante dell’enzima alfa-galattosidasi A (GLA), che così potrebbe entrare in circolo riducendo l’accumulo di lipidi nei tessuti dei pazienti”.
Certo, la nuova frontiera tecnologica della medicina può dare una grande mano alla gestione dei pazienti. La possibilità di curare il paziente cronico a casa, infatti, è diventato un elemento cruciale per il servizio sanitario: per migliorare la qualità di vita delle persone – che potrebbero gestire meglio il loro tempo e preservare la loro privacy -, ma anche il servizio offerto nei centri, dove dovrebbero afferire solo i pazienti che non possono avvalersi della dialisi peritoneale o dell’emodialisi domiciliare.
Eppure, come spiega Mariacristina Gregorini, segretario Sin e direttore Nefrologia e dialisi Ausl – Irccs di Reggio Emilia, la diffusione di questa opzione è ancora molto limitata su tutto il territorio, con un dispendio di tempo e risorse. “Ci sono tuttavia alcuni casi virtuosi in Italia che ci permettono di guardare verso nuovi orizzonti di cura. Che è il nostro impegno quotidiano per migliorare aspettativa e qualità di vita dei pazienti, riducendo i costi per il Servizio sanitario nazionale e rendendo più efficienti gli ospedali, attraverso la creazione di percorsi assistenziali integrati fra ospedali e territorio”.
Ma quale ruolo potranno avere telemedicina e intelligenza artificiale nella pratica clinica in nefrologia? Forti dell’esperienza accumulata durante la pandemia, oggi i nefrologi italiani sono pronti a raccogliere la sfida sostenuta anche da Pnrr nell’ottica di riorientare la risposta sanitaria verso un approccio domiciliare e territoriale grazie alla telemedicina e l’assistenza da remoto. Il gruppo di lavoro Iss-Sin sta elaborando un documento di consensus nazionale sulla telemedicina in nefrologia che ha stabilito i requisiti indispensabili per offrire servizi quali la teleassistenza, la televisita e il teleconsulto.
L’urgenza di implementare la telemedicina è oggi ancor più evidente sulla base dell’aumento già registrato dei casi di Covid-19. Gli ospedali assistono infatti a una nuova ondata di infezioni che, sebbene di durata e di intensità minore rispetto al periodo pandemico, sono molto rischiose per le popolazioni fragili come quella dei pazienti nefropatici: dializzati, trapiantati e immunodepressi. “Ricordiamo che la mortalità per i pazienti nefropatici era stata nella prima fase pandemica del 40%, poi drasticamente ridotta con la somministrazione dei vaccini che però non ha ridotto il tasso di trasmissione”, sottolinea Gregorini.
Nella sessione dedicata al trapianto renale si spazierà dai problemi consolidati, come la recidiva delle glomerulonefriti nell’organo trapiantato, fino agli aspetti più innovativi di biologia molecolare per l’esecuzione e il monitoraggio del trapianto stesso. Saranno infine approfondite le novità che arrivano dagli Usa, dove è stato eseguito negli scorsi mesi un trapianto di un rene di maiale geneticamente modificato su un paziente clinicamente deceduto.
Redazione Nurse Times
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