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Come elevare il livello culturale della professione infermieristica in Italia?

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Come elevare il livello culturale della professione infermieristica in Italia?
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Di seguito vi proponiamo il pensiero del dott. Gaetano Ciscardi che pone un interrogativo cercando di dare una lettura critica sullo stato dell’arte della professione infermieristica con delle proposte altrettanto interessanti


Il Professionista Infermiere: cosa occorre per elevare il livello culturale della professione in Italia?

Gli anni passano, le lotte continuano, ma il livello della “casta” degli infermieri italiani rimane ancora troppo ancorato ad anacronistici modi di agire, pensare e di essere che non corrispondono assolutamente all’identikit dell’infermieristica intesa come “scienza delle cure”. Urge pertanto il bisogno di intraprendere un percorso che ci traini a tutti noi professionisti verso quella ascesa che da troppo tempo la categoria aspetta invano.

La situazione infermieristica in Italia, come ben risaputo dagli addetti dei lavori e non, rimane ben salda in un limbo in cui difficilmente – e forse in parte volutamente troveremo via d’uscita.

Diventa difficile credere in una rivoluzione della scienza infermieristica quando ancora vi è una categoria in completa disgregazione tra pensieri culturali volti ad innovazione, implementazione di competenze, agire secondo evidenze scientifiche e studi di ricerca in contrasto con pensieri “missionari” verso l’utenza, volti al solo soddisfacimento delle aziende che giorno dopo giorno sfruttano la nostra malleabilità e versatilità nel compiere e ricoprire mansioni assolutamente superate appartenenti ad una categoria professionale che non esiste più e che dal 1994 ad oggi è mutata totalmente (almeno sulla carta).

In un contesto del genere, in cui l’infermiere si trova in un ibrido professionale, viene fuori la necessità di affrontare una volta per tutte il salto professionale che la categoria infermieristica da un 1/4 di secolo si è vista riconoscere dalla giurisprudenza ma che difatti ancora risulta non applicato nel campo pratico e teorico della professione.

Come ogni giusta rivoluzione, il concetto è quello di ripartire dalle fondamenta e nella fattispecie dalla formazione; il primo investimento che la categoria dovrebbe spendere riguarda la formazione universitaria e post-universitaria, la quale oggi risulta troppo eterogenea in tutto il territorio Nazionale. Dovrebbe scorrere nelle aule universitarie una corrente teorica e scientifica uniforme, volta alla preparazione di veri futuri professionisti e non di soldatini delle aziende pubbliche o private pronti a ricoprire qualsivoglia mansione per riempire le già piene tasche dei dirigenti.

Per attuare quanto detto occorre sicuramente creare ex novo una nuova cultura infermieristica, inserendo nuove figure, alcune già esistenti ma senza esserne certificati in termini di titoli, altre completamente di nuova matrice ma che la società e la richiesta di bisogno di salute moderna della popolazione necessità sempre di più.

Pertanto si dovrebbe puntare ad una riforma che porti a:

  • Laurea triennale prolungata di un anno (quadriennale) con inserimento delle Lauree Specialistiche (Infermieristica in medicina generale, Infermieristica in chirurgia generale ed Infermieristica in area critica della durata di 3 anni; Infermieristica neuro-psichiatrica, Infermieristica geriatrica, Infermieristica di famiglia e di comunità, Infermieristica di sanità pubblica ed Infermieristica materno-infantile e pediatrica (con susseguente eliminazione del corso di Laurea in Infermieristica Pediatrica) tutti della durata di 2 anni. Inoltre verrebbe mantenuta la Laurea Magistrale, trasformata in “Scienze del management infermieristico” (non includendo le Ostetriche) sempre di durata biennale per funzioni dirigenziali e di docenza (universitaria e scolastica). Il Dottorato di Ricerca risulterebbe invariato;
  • Programmi didattici ubiquitari in tutte le università, con revisione periodica almeno quinquennale degli stessi;
  • Riassetto del corpo docenti, assicurando che nelle aule universitarie vi siano Laureati Magistrali (titolo necessario) e PhD (Dottori di Ricerca, che avrebbero la precedenza rispetto ai Dottori Magistrali);
  • Riforma del programma di tirocinio a livello nazionale, dove nel nuovo piano quadriennale di formazione base venga stilato un piano di obiettivi unico in tutti i Corsi di Laurea Italiani, eliminando competenze non più di natura infermieristica (mansioni domestico-igienico-alberghiere), garantendo la formazione di tutor adeguatamente formati e che seguano con dedizione e competenza i tirocinanti, i quali dovranno frequentante almeno 500 ore di tirocinio garantiti per ogni anno accademico, mentre i tirocini per le Lauree Specialistiche verrebbero organizzati sulla base della disciplina del ramo frequentato;

Chiaramente la trasformazione della Laurea triennale odierna in Laurea quadriennale, comporterebbe un cambiamento drastico non solo didattico a livello universitario ma anche di inserimento nel mondo del lavoro, in quanto l’infermiere con il solo titolo di base si vedrebbe limitato a lavorare solo in determinati contesti e non nei reparti ospedalieri (al pari della figura medica).

Quindi l’accesso ai concorsi non avverrebbe alla pari per tutti ma per branca di specializzazione (es. bando di concorso per copertura n. 3 posti per Infermieri di area critica per U.O.C. M.C.A.U., alla quale potranno partecipare solamente chi risulta essere in possesso della laurea specialistica di riferimento, e così via per le altre specializzazioni).

Quindi sorge spontanea la domanda ma “l’infermiere con la sola laurea quadriennale in che contesti lavorativi potrà essere inserito”? La risposta è data dai seguenti punti:

  • Case di riposo private.
  • Case di cura private non settoriali.
  • RSA
  • Laboratorio analisi e centri privati di diagnostica strumentale.
  • Aziende pubbliche e private non sanitarie.
  • Eventi o manifestazioni sportive.
  • Inserimento della figura di Infermiere di guardia, in collaborazione con il Medico di Guardia, quest’ultima figura che spesso si trova a lavorare da SOLO in contesti critici e di emergenza senza nessun supporto sanitario e svolgendo mansioni prettamente infermieristiche.

Alle succitate proposte da impiantare nel sistema di formazione universitaria, andrebbero anche apportate altre modifiche. Oggi se la professione infermieristica soffre il fenomeno del demansionamento e della deprofessionalizzazione lo deve non solo ad un livello formativo accademico che nella quasi totalità degli atenei risulta essere insufficiente (specie nella parte di tirocinio), ma anche ad una cultura sociale che vede l’infermiere come il tuttofare della sanità, il factotum pronto a sacrificarsi per il bene dell’utenza e dell’azienda.

Concentrandoci su questo punto, forse anche apportando tutte le migliorie possibili al sistema universitario verrebbe difficile farci identificare alla popolazione come Dottori in Infermieristica, perchè apparteniamo ad una cultura che ci vede come “quelli che fanno i giro-letti, che si occupano dell’igiene o che mettono padelle”, aldilà del titolo che mostreremo.

Verosimilmente, di pari passo alla riforma accademica, occorrerebbe forse distaccarci dalla nomenclatura INFERMIERE (che purtroppo oggi ci vede confusi anche con le Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana, che tengo a precisare che secondo la giurisprudenza NON SONO INFERMIERE ABILITATE ALL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA), e cambiare magari totalmente il nostro modo di identificarci, dando un taglio netto con il passato che tanto ancora ci penalizza, ma senza mai dimenticare da dove proveniamo (perchè la storia non si rinnega mai).

Quindi un’idea per ridare linfa e credibilità alla nostra professione sarebbe quella di cambiare nome (considerando che non si può continuare a confondere l’utenza che ci vede menzionati allo stesso modo delle Infermiere Volontarie della CRI), visto e considerando che loro per tradizione, storia e cultura sono legate al loro appellativo, potremmo invece distaccarcene noi.

Un nome pensato dal sottoscritto per sostituire la parola Infermiere è quello di Educatore della Salute, un appellativo che forse più di tutti racchiuderebbe al meglio il nuovo ruolo che la società oggi ci richiede ma allo stesso tempo fatica a riconoscerci per mancanza di credibilità che noi stessi e il sistema sanitario non riusciamo a garantire. Ovvio è che si tratta di un suggerimento, una semplice proposta, ma il focus principale sarebbe quello che gli esponenti maggiori della categoria si sedessero attorno ad un tavolo per discutere questa tematica e proporre un eventuale cambio di nome dell’attuale professionista Infermiere, qualunque esso sia. D’altronde la frase “Dottore in Educazione alla Salute” non suona assolutamente così male!

Chiaramente, a fronte di quanto discusso, una nota di merito andrebbe fatta sull’incremento economico che la professione aspetta da tempo immemore.

L’aumento delle responsabilità e delle competenze professionali ovviamente dovrebbe camminare di pari passo con un adeguamento dei CCNL pubblici e privati, dove a modesto avviso, sarebbe assolutamente auspicabile che lo stipendio base percepito da ogni professionista infermiere dovrebbe essere di almeno 2000 € (il tutto differenziando ovviamente un infermiere specializzato turnista da uno giornaliero e da un infermiere con la sola laurea quadriennale). Alla base di questo aumento che si attende da 3 lustri, andrebbero considerati oltre all’incrementazione dell’autonomia, competenze e delle responsabilità professionali altri parametri quali:

  • Professione usurante (e l’infermiere vi rientra di diritto).
  • Formazione Continua di alto livello (rivedendo quindi la qualità degli attuali corsi ECM).
  • Richiesta di mantenimento di alti standard qualitativi di assistenza.

Come abbiamo visto il calderone delle proposte può essere veramente enorme, con all’interno alcuni suggerimenti totalmente nuovi, altri già esistenti ma mai applicati (come le Lauree Specialistiche e la determinazione delle “competenze avanzate”).

Il punto non è quali o quante di queste iniziative possano realizzarsi, ma fare qualcosa di concreto e tangibile che dia una svolta ad una professione che risulta angustiata da una palese crisi d’identità.

 

Dott. Gaetano Ciscardi

 

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