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Colangiocarcinoma: gli “inganni” di un tumore sempre meno raro

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Colangiocarcinoma: gli “inganni” di un tumore sempre più diffuso
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Spesso è riconosciuto quando è già in fase avanzata. Come scegliere le strategie terapeutiche più adatte.

Un tumore raro e subdolo, perché non dà sintomi iniziali e viene così riconosciuto spesso quando è ormai in fase avanzata e difficile da curare. Il colangiocarcinoma è una neoplasia maligna che ha origine dalla proliferazione rapida e incontrollata dei colangiociti, le cellule che costituiscono le pareti dei dotti biliari. Recentemente, però, si è scoperto che in oltre la metà dei pazienti sono presenti delle mutazioni genetiche, che hanno ruolo fondamentale nello sviluppo della malattia e la cui individuazione è cruciale per determinare le strategie terapeutiche future.

«Oggi conosciamo le mutazioni geniche che guidano la crescita dei colangiocarcinomi – spiega Davide Melisi, professore associato di Oncologia all’Università di Verona –. In particolare, circa il 50 per cento dei colangiocarcinomi intraepatici ha almeno una mutazione rilevante per la terapia in quanto costituiscono il target di farmaci a bersaglio molecolare. Le mutazioni che sono indispensabili, ormai da ricercare alla diagnosi, sono quelle del recettore del Fibroblast Growth Factor, detto anche FGFR-2 (presenti in circa il 15 per cento dei pazienti) e le mutazioni di un gene che codifica per una proteina coinvolta nel metabolismo che si chiama IDH-1 (circa il 20 per cento dei casi)».

Individuare le alterazioni alla base della malattia, quindi, è fondamentale per poter scegliere la terapia più adeguata. «Prima di iniziare una chemioterapia standard bisogna appurare se nel presente sono presenti mutazioni per le quali esistono già farmaci sperimentali – continua Melisi –. Abbiamo assistito in un lasso di tempo molto breve a un vero e proprio cambiamento di paradigma nel trattamento dei pazienti affetti da questa neoplasia: da un quadro molto limitato di regimi solo chemioterapici si è passati a realizzare farmaci a bersaglio che si sono dimostrati utili nella terapia del colangiocarcinoma localmente avanzato e metastatico resistente alla chemioterapia. Stiamo inoltre testando questa classe di farmaci anche come trattamento di prima linea, ovvero come strategia subito dopo la diagnosi».

Sono circa 5mila gli italiani che ogni anno ricevono una diagnosi di carcinoma delle vie biliari. «Sono neoplasie del fegato che hanno in realtà origine a partire dai dotti biliari, i canali che trasportano la bile dal fegato all’intestino e si distinguono in base alla loro sede d’insorgenza in colangiocarcinomi intraepatici, se si sviluppano all’interno del fegato; colangiocarcinomi perilari, all’ingresso dei dotti biliari nel fegato ed extraepatici se nascono dalle vie biliari extraepatiche – chiarisce Giovanni Brandi, presidente Gruppo Italiano Colangiocarcinoma (GICO) –. Il colangiorcarcinoma intraepatico è il secondo tumore del fegato più frequente e rappresenta il circa il 15 per cento di tutti i tumori epatici. La chirurgia è il primo passo fondamentale per poter sperare nella guarigione, ma non sempre è praticabile per via della diagnosi tardiva. In ogni caso è fondamentale farsi curare in un centro con esperienza, sia nell’intervento (non semplice per la complessità stessa dell’area in cui si trova la neoplasia) sia nella diagnosi e nelle cure, che richiedono un team multidisciplinare di professionisti esperti in questa specifica patologia».

Pazienti e familiari che si trovano a fare i conti con una malattia rara hanno spesso molte difficoltà a orientarsi e ha trovare le informazioni di cui necessitano. «Questo tipo di cancro ha tuttora un alto tasso di mortalità, ma più della metà delle persone riescono ad uscirne – ricorda Paolo Leonardi, presidente dell’Associazione Pazienti Italiani Colangiocarcinoma -. Sul nostro sito c’è un elenco dei centri regionali di riferimento a cui rivolgersi quando il paziente ha un sospetto di malattia. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare per garantire le migliori cure a tutti i pazienti. Anche il sostegno psicologico è importante: riuscire a parlarne con una persona che ha già vissuto questa esperienza aiuta molto chi ha appena ricevuto una diagnosi, per questo con l’associazione facciamo da tramite tra nuovi ed ex pazienti».

I sintomi sono poco specifici, per questo in sei pazienti su dieci la diagnosi viene effettuata quando il tumore è già di dimensioni notevoli e in fase avanzata. In generale è meglio andare dal medico in caso di perdita di peso ingiustificata, ittero, dolore al fianco destro irradiato posteriormente. «Negli ultimi anni stiamo osservando nella pratica clinica un incremento delle forme intraepatiche, pari a circa il 4 per cento annuo, in alcuni paesi europei tra cui anche l’Italia – conclude Brandi –. Si tratta di un aumento reale non legato a miglioramenti della diagnostica che comincia ad interessare perfino un target pazienti diverso rispetto al passato, ovvero giovani a partire dai 30 anni. Le ragioni? Alcuni studi realizzati dal nostro Gruppo in collaborazione con lo IARC (International Agency for Research on Cancer di Lione) dimostrano che l’amianto è associato in oltre la metà dei casi di colangiocarcinoma intraepatico. Inoltre sappiamo che fra i fattori di rischio certi ci sono fegato grasso, obesità e consumo di alcolici, così come l’epatite B e C e la cirrosi epatica».

Redazione Nurse Times

Fonte: Corriere della Sera

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