Chi è affetto da celiachia ha un’atrofia dei villi intestinali dovuta al consumo protratto di glutine. Uno studio rileva l’aumento del rischio di malattie linfoproliferative e di altre comorbilità.
Uno studio pubblicato su Gut ha sviluppato e convalidato un punteggio di 5 punti per individuare i pazienti con celiachia a rischio di atrofia villosa persistente. La condizione è associata a un maggior rischio di complicanze e mortalità.
Chi è affetto da celiachia ha un’atrofia dei villi intestinali dovuta al consumo protratto di glutine. Dopo la diagnosi e la privazione del glutine dalla dieta in genere la situazione si normalizza, ma alcuni soggetti soffrono la persistenza della condizione, che causa un aumento significativo del rischio di malattie linfoproliferative e di altre comorbilità, come fratture osteoporotiche all’anca.
Da quanto emerge da questa nuova analisi, l’età alla diagnosi, il modello della malattia, la risposta clinica e l’aderenza alla dieta priva di glutine predicono il rischio di atrofia villosa persistente. Per i pazienti ad alto rischio è possibile richiedere una biopsia di follow-up e altri interventi.
“L’atrofia dei villi (VA) – spiega Annalisa Schiepatti, dell’Università di Pavia – può persistere in alcuni pazienti nonostante una dieta priva di glutine (GFD), di solito a causa della scarsa aderenza alla dieta o della lenta risposta a una GFD o ipersensibilità al glutine e, meno comunemente, complicazioni precancerose/maligne della celiachia (MC). La letteratura attuale fornisce dati contrastanti sulla relazione tra VA persistente (pVA) e risultati a lungo termine nei pazienti con MC. Inoltre pochi studi hanno valutato quali fattori possono essere associati all’atrofia dei villi persistente nella celiachia, quindi il fenotipo clinico dei pazienti a più alto rischio di pVA è ancora poco definito”.
I ricercatori guidati da Schiepatti hanno valutato la relazione fra pVA (definita come Marsh≥3a) e gli esiti di celiachia a lungo termine e hanno sviluppato un punteggio per identificare i pazienti a rischio di pVA.
Dei 2.182 adulti con diagnosi di malattia celiaca tra il 2000 e il 2021, 694 sono stati sottoposti a biopsia duodenale di follow-up dopo una mediana di 32 mesi di GFD e sono stati inclusi nella coorte dello studio.
Al follow-up, il 34,1% aveva sintomi in corso e il 23% aveva pVA. I pazienti con pVA avevano un aumentato rischio di complicanze (HR=9,53; 95% CI, 4,77-19,04) e mortalità (HR=2,93; 95% CI, 1,43-6,02).
I ricercatori hanno sviluppato un punteggio di cinque punti che classificava il rischio del paziente per pVa come basso (0-1 punti, 5% pVA), intermedio (2 punti, 16% pVA) o alto (≥ 3 punti, 73% pVA), sulla base di predittori che includevano l’età alla diagnosi (≥ 45 anni; OR=2.01; 95% CI, 1.21-3.34), pattern classico di celiachia (OR=2.14; 95% CI, 1.2 8-3,58), mancanza di risposta clinica alla GFD (OR=2,4; 95% CI, 1,43-4,01) e scarsa aderenza alla GFD (OR=48,9; 95% CI, 26,1-91,8).
Nell’analisi delle caratteristiche operative, i ricercatori hanno notato che il punteggio aveva “un’ottima capacità predittiva” per pVA (ROC-AUC=0,86; 95% CI, 0,82-0,89).
Schiepatti e colleghi hanno convalidato il punteggio con una coorte di 144 pazienti con MC sottoposti a biopsia duodenale dopo una mediana di 40 mesi dalla diagnosi, di cui 26 con pVA. Nella coorte di validazione, il punteggio predittivo a cinque punti “ha funzionato bene” nell’identificare i pazienti con e senza pVA (ROC-AUC=0,78; 95% CI, 0,68-0,89).
“Abbiamo dimostrato che i pazienti con pVA hanno un aumentato rischio di complicanze e mortalità hanno concluso Schiepatti e colleghi -. Il nostro punteggio consente l’identificazione precoce dei pazienti con malattia celiaca ad alto rischio di atrofia dei villi persistente che potrebbero richiedere interventi mirati e modalità di follow-up personalizzate per contrastare gli scarsi risultati a lungo termine”.
Redazione Nurse Times
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