Il performer aveva fermato l’ammiraglio Girardelli per realizzare un servizio-denuncia sull’acqua contaminata data da bere sulle navi della Marina. Tutto è partito dalla segnalazione dell’infermiere maresciallo.
La Procura della Repubblica di Roma ha notificato a Luigi Pelazza, volto noto della trasmissione televisiva Le Iene, l’avviso di chiusura delle indagini perché “in concorso con persona non identificata, volendo intervistare il capo di Stato maggiore della Marina militare”, Valter Girardelli, “usava violenza nei confronti dell’ammiraglio, del personale militare posto a sua tutela e del suo autista”.
Pelazza è quindi indagato per i reati previsti dagli articoli 339 e 610 comma 1 e 2 del codice penale. Un’accusa non da poco, se si tiene conto del fatto che Girardelli è l’attuale capo di stato maggiore della Marina militare, sottoposto, in ragione dell’incarico ricoperto, a provvedimento di “tutela di 3° livello su auto specializzata”. L’obiettivo dichiarato dell’ex giornalista era di realizzare il servizio tv dal titolo Denuncia acqua contaminata: la Marina lo processa, mandato in onda nella puntata del 25 febbraio.
Tutto è cominciato, però, il 26 gennaio nell’aeroporto militare di Roma Ciampino. Secondo l’informazione di garanzia firmata dal pubblico ministero Alberto Pioletti, Pelazza “si poneva alla guida di un motociclo, indossando un casco dotato di telecamera e iniziava un inseguimento della vettura blindata sulla quale viaggiavano l’ammiraglio e il personale della sua scorta, affiancandola in diverse occasioni, anche con manovre pericolose, e urlando ripetutamente “Ammiraglio, si fermi”.
Si qui nulla di troppo grave. L’auto dell’ammiraglio Girardelli proseguiva la sua corsa senza fermarsi, sino a quando un ingorgo non la costringeva allo stop. Il performer, approfittando del traffico e della presenza di altri veicoli che da dietro impedivano la manovra di retromarcia, posizionava il motociclo “davanti all’autovettura, in modo da impedirle la prosecuzione della marcia”.
Dopo aver effettuato la manovra, Pelazza si avvicinava al finestrino dell’autovettura urlando ripetutamente la frase “Ammiraglio, scenda”, sino a quando, trascorsi alcuni minuti, l’ammiraglio apriva lo sportello per discutere con Pelazza. La “Iena”, si legge nell’informazione di garanzia, “spostava il motociclo solo a conversazione avvenuta, permettendo in questo modo alla vettura di riprendere la propria marcia”.
Nell’ultimo capoverso dell’informativa si legge un poco incoraggiante: “fatti aggravati per essere stati compiuti da più persone riunite”. Pelazza, che non è più giornalista dal 2013, molto probabilmente tenterà di far valere il diritto di cronaca che, come noto, non è prerogativa dei giornalisti, perché è garantito anche ai cittadini dall’articolo 21 della Costituzione. Per lui, comunque, una brutta gatta da pelare.
Tutta questa querelle è nata dopo che un infermiere della Marina, Emiliano Boi, era stato denunciato per aver segnalato il caso dell’acqua contaminata data da bere all’equipaggio della nave Caio Duilio, in cui era stato imbarcato. E per aver rivelato a Luca Marco Comellini, segretario del Partito dei diritti dei Militari (Pdm), che il laboratorio analisi militare di La Spezia, per oltre 10 anni, non ha eseguito gli esami previsti dalla legge sulle acque destinate al consumo umano nelle unità navali.
Se condannato, Boi potrebbe dover scontare una condanna sino a cinque anni di carcere militare. Pur essendo stato indagato dai carabinieri della Marina militare per aver trasmesso materiale non classificato al segretario del Pdm, Boi non si è dichiarato pentito. “Ho agito per tutelare la salute dei miei colleghi”, ha dichiarato l’infermiere della Marina militare nell’udienza del 15 gennaio scorso.
Fonte: TiscaliNews
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