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Caregiver familiari, questi sconosciuti…

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Un disegno di legge, in discussione al Senato in questi giorni, è volto a riconoscere e a tutelare la figura del Caregiver familiare anche in Italia. Ma chi sono questi Caregiver familiari?

E perché necessitano di tutela? Con l’intento di portare alla luce la loro realtà, ve ne racconto alcuni… avendo modo di incontrare e conoscere durante la mia esperienza professionale di infermiere a domicilio con pazienti ad alta intensità assistenziale.

Si è forse ad un passo dal far uscire il “Caregiver familiare”, finalmente, dalla sua invisibilità. È stato recentemente presentato da Laura Bignami del Gruppo Misto, infatti, un disegno di legge volto a “riconoscere e tutelare il lavoro svolto dai caregiver familiari e a riconoscerne il valore sociale ed economico per la collettività”.

Il ddl punta a riconoscere i diritti di chi svolge questo compito sotto quattro diversi punti di vista: previdenziale, sanitario, lavorativo e reddituale. La discussione del testo ha avuto inizio lo scorso 6 aprile in Senato e speriamo possa allineare l’Italia ad altri paesi europei come Francia, Spagna, Gran Bretagna e Grecia che da tempo tutelano i diritti di queste figure.

Ma entriamo nel dettaglio, chi sono i Caregiver familiari? E perché hanno bisogno di tutela?

Il ddl, in 7 articoli, introduce “il riconoscimento della qualifica di caregiver familiari a coloro i quali in ambito domestico si prendono cura, a titolo gratuito, di un familiare o di un affine entro il secondo grado che risulti convivente ovvero di un minore dato in affidamento, che a causa di una malattia o disabilità necessita di assistenza continua, per almeno 54 ore settimanali”.

Durante il mio impegno di infermiere nell’assistenza a pazienti complessi a domicilio, portato avanti da diversi anni nella regione Lazio, sono stati tanti i familiari con cui mi sono trovato a contatto. E diversi sono stati questi “caregiver” anche se non ero solito vederli come tali: per me erano semplicemente Renato, Nella, Michela, Marisa, Adriana, Nuccia, ecc. Persone che nella loro vita si sarebbero aspettate di tutto, tranne ritrovarsi “operatori sanitari” a tempo pieno, per 24 ore al giorno, alle prese con pazienti ad alta intensità assistenziale.

Vi racconto di alcuni di loro, per far conoscere la loro realtà e far capire come questa involontaria “qualifica”, così come la descrive il ddl, abbia travolto e stravolto le loro vite. E sul perché sia necessario un riconoscimento che possa garantirgli quantomeno… Tutela.

Renato, Caregiver. Un signore abruzzese ultrasettantenne dal naso decisamente pronunciato, magro come il cavallo dell’Apocalisse, ex sarto e marito di Rosa, malata di SLA (la protagonista del mio romanzo “Buonanotte, madame”).

“Amorevolmente rimbambito”, come amavo definirlo, Renato cercava di occuparsi di sua moglie come meglio poteva. Lei era molto esigente, caparbia, femminile ed autoritaria (un autentica forza della natura…un uragano…uno spasso!) nonostante potesse muovere solo gli occhi; si faceva capire benissimo e portava ben salde “in mano” le redini della sua famiglia. E soprattutto le redini di quel cavallo dell’Apocalisse di suo marito, che si occupava di lei praticamente sempre. In teoria il buon Renato era stato “addestrato” dal personale della ASL all’alta intensità assistenziale, presupposto questo indispensabile per poter dimettere una paziente come la moglie (tracheostomizzata, ventilata per 24 ore e gastromizzata) a domicilio.

Ma questo fantomatico “addestramento” prevedeva soltanto qualche ora di spiegazioni generiche e qualche nozione qua e là sull’aspirazione tracheobronchiale, che il caro vecchio Renato ha rimosso dal suo cervello in brevissimo tempo. Come è normale che sia, alla sua età. E come è normale che avvenga dopo un corso “strutturato” in questo modo, verosimilmente più utile più a chi lo fa che a chi lo riceve (…). Manualmente, poi, bisogna dire che Renato era un’autentica frana: ho assistito per 16 mesi sua moglie Rosa e non sono riuscito ad insegnargli il modo corretto per effettuare un’aspirazione tracheobronchiale, nonostante mi sia dannato a tal fine. Mi sono chiesto molte volte quale premuroso genio l’avesse “abilitato” ad assistere Rosa alla fine di quel fantomatico “addestramento”… Per fortuna la coppia aveva il supporto di 12 ore infermieristiche al giorno. Ma di notte…Renato era da solo con la sua Rosa.

E di notte infatti avvenivano quasi sempre le cose più strane e pericolose: ostruzioni da secrezioni, malfunzionamenti dei macchinari o dei presidi, crisi respiratorie, controcannule sparse sul letto. Fino a che, purtroppo, una notte lui è crollato dal sonno…e il caso ha voluto che proprio quella notte, si verificasse un problema stupido, facilmente risolvibile ma…lui dormiva. Era alla sua terza notte di veglia consecutiva, povero. E purtroppo madame Rosa è morta.  

Ancora lo sento telefonicamente, ogni tanto, il caro vecchio Renato. Si sente irreversibilmente in colpa per ciò che è successo alla moglie, anche se non so più come spiegargli che non è stata colpa sua. Ancora ricorda con affetto tutti i sorrisi che abbiamo vissuto in quella relazione d’aiuto decisamente particolare e di ferro io, lui e la sua signora.

Michela, Caregiver. 32 anni, vigilessa del Comune di Roma. Probabilmente la figlia che tutti vorrebbero avere. Una figlia innamorata del proprio papà… Adriano, malato di SLA, ex autista di bus decisamente belloccio che ai suoi tempi faceva stragi di cuori. Quando l’ho conosciuta, Michy era a dir poco terrorizzata dalla dimissione a domicilio del padre: Adri non era del tutto stabile, era sceso sotto ai 40 Kg di peso, era soggetto ad importanti tappi di muco nelle vie aeree inferiori ed aveva anche altri problemi. Cronico stabilizzato, sì, ma…decisamente complesso e con riacutizzazioni sempre dietro l’angolo. E che per un lungo periodo erano quasi all’ordine del giorno. Difficile da assistere. Michela non è stata sottoposta al fantomatico “Addestramento” di cui sopra. Perché? Boh… né lei né nessun altro mi ha mai saputo dare una spiegazione. Perfetto. E infatti oltre a non essere stata abilitata ad assistere il papà, decisamente… non era pronta. E non sapeva cosa fare. Mai.

Per fortuna anche papà Adri ha avuto 12 ore infermieristiche al giorno. Ma di notte era da solo con la sua figliola, suo genero e con l’acciaccata moglie Marisa, con diversi problemi fisici, ma autentica dea in cucina. Michy è stata costretta ad imparare tante cose in fretta a contatto con noi infermieri: Adriano desaturava di frequente, aveva bisogno spesso di aspirazioni, le sue secrezioni erano dense e formavano tappi difficilmente rimuovibili, doveva essere attaccato diverse volte al giorno alla macchina della tosse (insufflatore/esufflatore meccanico) stando attenti ad eventuali sanguinamenti dalle vie aeree (capitava…) con conseguenti coaguli-tappo; bisognava altresì lavorare sempre con la tecnica più asettica possibile in quanto, ciclicamente, Adri sviluppava polmoniti.

Michela si è messa in aspettativa non retribuita dal lavoro, ha trascurato pressoché totalmente la sua vita privata ed il suo matrimonio per assistere al meglio questo suo papà… giorno e notte. Una vita annullata per amore. In quella casa ho assistito a fotogrammi di una tenerezza infinita. Ricordo ancora, provando brividi lungo la schiena ogni volta che lo faccio, la scena dove lei, distrutta dalla stanchezza, a volte si addormentava con la testa sul letto del padre e con la mano di lui aperta ed appoggiata sulla sua guancia… un autentico, assordante spettacolo.

Almeno per me, che sono un convinto professionista dell’aiuto. La sento spesso, Michela. E probabilmente sarà con me (o invierà suo marito a fare le sue veci) durante la protesta dei malati di SLA il 15 aprile a Roma. Adri è ancora vivo e vegeto, nonostante le sue problematiche sempre presenti. Ha ancora uno sguardo “piacionico”, come direbbe il Grande Gigi Proietti… “Acchiappesco”. Con buona pace della moglie Marisa, santa donna. Presto andrò a trovarli.

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Michela, Caregiver. Crollata dal sonno mentre accudisce il suo amato papà Adriano, malato di SLA.

Nuccia, Caregiver. Siciliana, ultrasessantenne, casalinga, ma soprattutto… indomita guerriera. Persona che sa essere granitica e dolcissima allo stesso tempo. Mamma di Davide, ragazzo sfortunato di 32 anni malato di Sclerosi Multipla che, in seguito ad uno stato di male epilettico dalla non chiara eziologia, si è ritrovato immobile a letto con probabili gravi lesioni cerebrali che non gli permettono più di comunicare, tracheostomizzato e ventilato per 24 ore al giorno. Anche Nuccia è dovuta sottostare al fantomatico “addestramento” della ASL… e anche lei conferma di aver ricevuto poche informazioni e di essere stata aggiornata solo sulle modalità per eseguire un’aspirazione. Niente di più. Questa sarebbe la formazione che abilità i Caregiver ad assistere pazienti complessi?

Mah… Per fortuna, però, Nuccia si è informata. Altroché se si è informata… ed ha appreso quante più informazioni possibili per poter assistere al meglio il figlio. E lo fa quotidianamente, giorno e notte (ha sei ore infermieristiche al giorno e di notte sei ore di o.s.s…), praticamente senza né riposarsi né “staccare” mai. La sua vita è suo figlio.

E la sua più grande paura è quella che succeda qualcosa a lei prima che accada a lui. Come è logico che sia, lei non è una professionista sanitaria e non possiede le competenze avanzate in materia di assistenza. Bisogna “seguirla”, quindi. Ma devo dire che nella gestione del paziente cronico, quale il suo Davide rappresenta, sa decisamente dove “mettere le mani”.

Quando arriva l’acuzia, però…si rende necessaria la presenza di un professionista infermiere. E visto che qui nel Lazio l’assistenza ad alta intensità funziona in modo strano, dopo quelle sei ore infermieristiche Davide può contare solo sulla mamma o su un’eventuale chiamata al 118.

Niente telesoccorso, niente telemedicina, niente numeri specifici, niente medici o infermieri case-manager reperibili, ecc. Nuccia pretende assistenza adeguata per suo figlio, si sta battendo come una leonessa per questo e ciò è stato chiaramente esplicitato nell’intervista che ha rilasciato a Nurse Times ad inizio marzo (VEDI) e sulle sue successive prese di posizione a favore della professione infermieristica (VEDI). Richieste e prese di posizione che saranno confermate in data 4 maggio 2016, quando al TG5 delle 13:00, nella rubrica Indignato Speciale, andrà in onda una sua intervista dove chiede a gran voce aiuto.

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Nuccia, Caregiver. Mentre coccola suo figlio Davide, malato di Sclerosi Multipla che ha avuto diverse gravi complicazioni.

Una condizione di abnegazione quasi totale, quindi. Che, come spiega la relazione introduttiva al ddl, compromette i diritti umani fondamentali dei Caregiver familiari: quelli alla salute, al riposo, alla vita sociale e alla realizzazione personale.

Ma non solo: l’opera continua e senza sosta del prestatore di cure, a lungo termine può mettere a dura prova l’equilibrio psicofisico suo e dell’intero nucleo familiare di cui fa parte.

E poi c’è la questione del periodo in cui stiamo vivendo, che non facilita di certo le cose. Con un quadro sociale-assistenziale drammatico, dove i tagli al fondo per le non autosufficienze sono all’ordine del giorno, dove i disabili gravissimi sono costretti a scendere in piazza (VEDI) a rischio della propria vita, dove i costi delle Residenze sanitarie assistenziali (che offrono sempre più spesso servizi totalmente inadeguati) sono sempre più alti, dove la parcellizzazione delle risposte assistenziali e le sperequazioni sul territorio sono un rompicapo difficile da decifrare e da spiegare. Ma che va risolto. Un Piano nazionale per le non autosufficienze che faccia fronte a tutto questo, si vede al più presto necessario…?

Alessio Biondino

Fonti:

Salute24, Panorama

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