L’infermiere che si cela dietro all’account “Infermieri in rivolta” spiega a Varese News le ragioni della sua iniziativa.
Mettere in luce la situazione di lavoro negli ospedali e sottolineare le difficoltà del personale sanitario. Questi gli obiettivi che hanno spinto l’infermiere di Varese che si cela dietro all’account “Infermieri in rivolta” a pubblicare le sue prime due canzoni di protesta. Attraverso un linguaggio spesso tagliente e senza risparmiare il sarcasmo, l’autore racconta le condizioni del sistema sanitario pubblico dal punto di vista di chi ci lavora.
I primi due brani di Infermieri in rivolta (disponibili sul canale YouTube del loro creatore) affrontano anche i dubbi e la frustrazione di diversi dipendenti alle prese con turni impegnativi, stipendi ridotti e uno scarso riconoscimento della propria professione.
«Con le mie canzoni – racconta l’autore a Varese News – voglio dare voce agli infermieri e fare sapere cosa significa fare questo lavoro. Non siamo missionari e non siamo angeli, non siamo trita pastiglie o cambia-pannoloni. Siamo professionisti della salute con un bagaglio tecnico-teorico enorme ed estremamente specialistico, e non siamo intercambiabili tra noi, come capita senza un periodo adeguato di formazione. Non possiamo e non vogliamo abbandonare il nostro servizio, perché nei letti ci sono persone che meritano di essere assistite sempre al cento per cento, però è necessario trovare un modo per farsi sentire».
Aggiunge il creatore di Infermieri in rivolta: «Fare l’infermiere, per me, è stata una scelta dettata dal caso. Sapevo di voler lavorare in ambito sanitario e il percorso di studi di Infermieristica rappresentava quello che per me era prioritario all’epoca: un percorso di studi triennale con diversi sbocchi professionali e la presenza di tirocini fin dal primo anno. Però, una volta cominciata l’università, mi sono reso conto che non avevo la più pallida idea di che cosa fosse realmente un infermiere».
E ancora: «Il punto è questo: è impossibile ottenere un riconoscimento sociale se i cittadini e le autorità non sanno cosa sia veramente questa professione. Se si riuscisse a costruire questa consapevolezza, allora più persone deciderebbero di iscriversi all’università per diventare infermieri o altre figure sanitarie. Se si prendesse più a cuore lo stato di salute della sanità, magari tanti problemi si risolverebbero da sé».
Redazione Nurse Times
Fonte: Varese News
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