Lo dimostra uno studio presentato durante il Congresso annuale dell’Associazione Europea di Urologia.
Valutare precocemente il rischio di cancro alla vescica attraverso un semplice esame delle urine potrebbe favorire l’adozione tempestiva di protocolli di terapia specifici e mirati. A compiere un passo significativo in questa direzione, uno studio presentato durante il Congresso annuale dell’Associazione Europea di Urologia e condotto dagli scienziati dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione, dell’Università di Scienze mediche di Teheran (Iran), del Massachusetts General Hospital e della Ohio State University.
Il team, guidato da Florence Le Calvez-Kelm, ha elaborato per la prima volta un approccio diagnostico in grado di rilevare attraverso le urine le mutazioni genetiche correlate allo sviluppo del cancro alla vescica fino a 12 anni prima della manifestazione della malattia. Il gruppo di ricerca internazionale, proveniente da istituti in Francia, Iran e Stati Uniti, sottolinea che questo test potrebbe migliorare significativamente la prognosi e i trattamenti dei pazienti che sviluppano questa forma di neoplasia.
Il cancro alla vescica, spiegano gli esperti, è il quinto tumore più comune nell’Unione Europea, con oltre 200 mila nuovi casi ogni anno. Il tasso di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi non supera il 50%, principalmente a causa delle diagnosi tardiva e della tendenza alla recidiva della condizione. Quando però il tumore viene rilevato in una fase iniziale la probabilità di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi supera l’80%.
“La diagnosi del cancro alla vescica si basa su procedure costose e invasive – osserva Le Calvez-Kelm -. Un test delle urine semplificherebbe notevolmente le procedure di screening. Prevedere il rischio di sviluppare questa neoplasia con anni di anticipo potrebbe migliorare notevolmente gli approcci terapeutici”.
I ricercatori hanno valutato la possibilità di utilizzare UroAmp, un test che permette di identificare le mutazioni in 60 geni, per rilevare anche le alterazioni genetiche correlate al cancro alla vescica. L’approccio è stato sperimentato attraverso i campioni raccolti per il Golestan Cohort Study, un progetto nell’ambito del quale sono state monitorate le condizioni di salute di oltre 50mila partecipanti in un arco di tempo di dieci anni.
Nel periodo in esame 40 persone hanno sviluppato cancro alla vescica. I campioni di urina erano disponibili per 29 pazienti, che sono stati confrontati con quelli di 98 individui del gruppo di controllo. Stando a quanto emerge dall’indagine, UroAmp è stato in grado di prevedere con precisione il rischio di cancro alla vescica nel 66% della coorte, con alcuni campioni che erano stati prelevati fino a 12 anni prima della diagnosi clinica. L’accuratezza nel gruppo di controllo è stata verificata nel 96% dei partecipanti che non avevano sviluppato cancro alla vescica.
L’esame è stato inoltre valutato utilizzando campioni prelevati da 70 pazienti con cancro alla vescica e 96 individui di controllo. Alcuni di questi pazienti avevano fornito le urine il giorno della diagnosi, piuttosto che anni prima, come nel progetto Golestan. In questa coorte le mutazioni sono state individuate nel 71% dei pazienti con neoplasia e il 94% dei pazienti sani ha ricevuto un esito corretto.
“Questi risultati – commenta Le Calvez-Kelm – dimostrano il potenziale di un test genetico delle urine per la diagnosi precoce del cancro alla vescica. Abbiamo identificato quali sono le più importanti mutazioni genetiche che possono aumentare significativamente il rischio di sviluppare il cancro entro dieci anni. Se i dati verranno replicati in studi più ampi, UroAmp potrebbe rappresentare una tecnica innovativa per lo screening dei tumori nei pazienti ad alto rischio”.
Aggiunge Joost Boormans, membro dell’EAU Scientific Congress Office: “Nei prossimi step sarà necessario sviluppare una diagnostica più accurata, ma il rilevamento tramite le urine rappresenta un metodo semplice e non invasivo che potrebbe semplificare notevolmente i test da sottoporre alla popolazione rispetto alle procedure o alle scansioni standard, che possono essere invasive, complesse e costose per i servizi sanitari”.
Redazione Nurse Times
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